16 dicembre 2014 ore: 15:41
Immigrazione

Cittadinanza, la delusione dei giovani G2: promessa mancata di Renzi

Il premier aveva assicurato che la riforma sarebbe stata in aula entro fine anno, invece si dovrà attendere. Tailmoun: “La legge attuale riferita a una società che non c’è più: nel 92 i nati da cittadini stranieri erano uno su cento, oggi sono 15”
Due Bambine immigrate: scuola, cittadinanza

- ROMA – Il premier Renzi lo ha più volte annunciato: “entro fine anno andrà in discussione la riforma della cittadinanza”. Ma oggi quegli annunci hanno il sapore di una promessa mancata. Non solo il testo non andrà in discussione entro fine 2014 ma neanche all’inizio del 2015. Si dovrà attendere forse la prossima primavera per attivare l’iter di una riforma attesa da oltre vent’anni. Ma mentre le istituzioni restano pressoché immobili, la società civile continua la sua battaglia per riportare l’attenzione sulla condizione di quasi un milione di ragazzi considerati ancora stranieri in patria.

In prima linea, in particolare, la rete G2 che stasera a Roma presenta un dossier sulla cittadinanza dal titolo “Italiani 2.0 – G2 chiama Italia: cittadinanza, rispondi”,dove sono raccolte le storie di tanti ragazzi che hanno dovuto attendere anni prima di essere riconosciuti italiani, nonostante fossero nati qui. Un documento che denuncia lo scollamento dalla realtà della legge 91 del 1992, nata in un periodo dove il tessuto sociale era completamente diverso.

Se all’inizio degli anni 90, infatti, i figli degli immigrati erano circa seimila, l’1 per cento dei nuovi nati, oggi lo scenario è completamente cambiato: i bambini nati da genitori stranieri sono il 15 per cento del totale delle nuove nascite, pari cioè a quasi 80 mila bambini. “Che la legge sia vecchia e inadeguata lo denunciamo da anni – spiega Mohammed Tailmoun, portavoce della Rete G2 -. E’ stata promulgata immaginando un paese che non esisteva allora, figuriamoci oggi. Ci è stato promesso da più parti che il dibattito si sarebbe riaperto in tempi brevi, ma per ora è ancora tutto bloccato. Siamo delusi per questo atteggiamento del governo e delle istituzioni, perché quella che non appare ai politici una priorità invece lo è, e riguarda un milione di cittadini”.

Per la rete G2, dunque, è urgente riformare la legge ma anche “farlo bene secondo criteri il più possibile inclusivi”. Il rischio è infatti che si arrivi a legare il diritto di cittadinanza non alla nascita sul suolo italiano (ius soli) ma alla frequenza della scuola dell’obbligo (ius culurae). E che quindi chi oggi doveva attendere 18 anni per essere riconosciuto cittadino italiano con la nuova legge avrà solo uno “sconto” di due anni: e cioè potrà ottenere la cittadinanza a 16 anni.  “Non si può aspettare così a lungo per arrivare a una legge che sia poca cosa – aggiunge Tailmoun – Oggi ci delude che la riforma non sia sentita come priorità nel paese, un paese di anziani dal punto di vista demografico, dove c’è un soggetto sociale e giovane che in questo paese e vuole viverci e potrebbero costituire una vera risorsa”.

Per Marilena Fabbri, deputata Pd e relatrice della legge di riforma sulla cittadinanza, la questione non è passata in secondo piano, ma è stata accantonata solo per questioni logistiche e di tempi. “L’attività della commissione Affari costituzionali, come quella delle altre commissioni, è stata incentrata sul Jobs Act e sulla riforma costituzionale – spiega – si tratta dunque di una questione logistica, non c’è stato cioè spazio per discutere il provvedimento. Ma io continuo a considerare questo tema prioritario. E il mio obiettivo è dialogare con gli altri partiti per sfrondare alcune questioni su cui siamo in disaccordo e arrivare presto a una proposta comune”.

In particolare la questione su cui si sta dibattendo è su come legare la cittadinanza al percorso scolastico senza dover mettere i ragazzi di attendere la fine della scuola dell’obbligo. “Su questo molto importante è anche l’azione che stanno compiendo le associazioni, come sempre molto attive su questo fronte – aggiunge Fabbri –. Io resto dell’idea che vada fatta una distinzione tra chi nasce e chi arriva. Lo ius culturae è una sorta di esame che verifica i presupposti dell’integrazione di chi viene qui, mentre per chi nasce in Italia serve un riconoscimento del percorso fatto dalla famiglia”. (ec) 

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