28 gennaio 2022 ore: 11:44
Società

Cohousing, una risorsa anche per i care leavers: vivere insieme, per imparare a stare da soli

di Chiara Ludovisi
Intervista a Sara Galli e Katia Dal Monte, referenti di “Agevolando” a Bologna e Ravenna. L'associazione, a livello nazionale, accoglie con i suoi progetti abitativi oltre 50 care leavers. “Mancano politiche e strumenti che garantiscano a questi giovani, al termine dei periodi di accoglienza, il diritto a una casa”
team-agevolando

ROMA - Il cohousing come trampolino verso il futuro, quando alle spalle c'è una storia difficile: vivere insieme, con un tutor che accompagni verso l'indipendenza, si rivela un'opportunità preziosa per i ragazzi che, divenuti maggiorenni, devono lasciare le case famiglia e i percorsi di accoglienza per minori e diventare adulti. Un passaggio delicato, spesso complicato, perché diventare adulti a 18 anni è difficile per tutti, figuriamoci per chi ha una storia fatta di disagio sociale, economico e familiare.

Per questo, l'associazione Agevolando in Emilia-Romagna, come altre associazioni in diverse regioni d'Italia, stanno sviluppando progetti di cohusing rivolti proprio ai cosiddetti “care leavers”. Redattore Sociale ha intervistato Sara Galli e Katia Dal Monte, referenti dell'associazione Agevolando rispettivamente a Bologna e Ravenna.

Cosa può dare il modello del cohousing ai giovani che escono dall’accoglienza?
Per i cosiddetti “care leavers”, trovare un alloggio rappresenta una delle difficoltà maggiori, ma anche una delle esigenze più importanti. Abitare un alloggio significa avere un posto per sé, dove cominciare a sviluppare una propria idea di vita e una progettualità. È un passaggio che segna l’accesso in un mondo adulto, dove è necessario assumersi delle responsabilità. Purtroppo capita spesso, a causa del deficit generalizzato di abitazioni accessibili, di assistere all’interruzione di percorsi virtuosi avviati nell’accoglienza, dove grazie all’investimento di risorse ed energie i giovani erano riusciti a formarsi, inserirsi nel mondo del lavoro e raggiungere traguardi soddisfacenti. Rispetto a questo quadro, l’associazione Agevolando ha avvertito l’esigenza di avviare una riflessione, unitamente a possibili tentativi di risposta. Ne è nato il progetto “Casa Dolce Casa”, che offre la possibilità a giovani usciti dall’accoglienza di età compresa tra i 18 e i 26 anni, di usufruire di un alloggio, nell’ottica dell’housing sociale, con costi calmierati e con un accompagnamento educativo leggero. L’idea è quella di gettare un ponte verso approdi più sicuri, consentendo ai beneficiari di consolidare la loro situazione lavorativa, acquisire delle competenze abitative e ricevere, attraverso la rete formata da pari, volontari e operatori, un appoggio relazionale e un orientamento personalizzato rispetto alle aree di autonomia da sviluppare. L’efficacia del progetto è, in termini assoluti, abbastanza soddisfacente. La maggior parte dei beneficiari riesce infatti, nei termini stabiliti (un anno prorogabile) a raggiungere una stabilità lavorativa che consente loro il reperimento di un alloggio in autonomia.

Quanto è diffusa questa esperienza, nella vostra regione e nelle altre?
Il progetto “Casa Dolce Casa” è partito a Bologna nel 2012 con un piccolo alloggio del Comune di Bologna in comodato d’uso gratuito, al quale nel corso degli anni se ne sono aggiunti altri cinque, per un totale di undici posti. Acer Bologna ci ha poi locato a canone concordato tre alloggi per un progetto di secondo livello, che ospitano, sempre a Bologna, sei ragazzi. A Ravenna, il Comune ha concesso in comodato d’uso gratuito tre appartamenti dove abitano dieci ragazzi, mentre ad Alfonsine un privato ha concesso in comodato d’uso una casa che ospita sei ragazzi. A Ferrara sono stati presi in affitto due appartamenti per un totale di otto posti. Ancora, a Rimini un privato ha concesso in comodato d’uso il proprio immobile, che ospita tre ragazzi. Fuori dalla nostra regione, a Trento sono stati concessi in gestione due appartamenti ad Agevolando e alla Comunità Murialdo, per un totale di sette posti. A Verona abbiamo preso in subaffitto dalla Pia opera Ceccarelli un appartamento della fondazione Cari Verona, per un totale di quattro posti. A Trento è inoltre attivo il progetto “Vivo.con”, che promuove, in collaborazione con l’associazione Ama, la coabitazione temporanea di care leavers con nuclei famigliari, coppie, singoli etc. Una formula adottata anche a Rimini nell’ambito del progetto “Condiviviamo”, che vede la Cooperativa sociale Il Millepiedi e Agevolando collaborare per promuovere una forma di ospitalità in grado di arricchire tutti i soggetti coinvolti, sulla scorta dello slogan “Chi trova casa ti porta un tesoro”. Infine, a Bologna, grazie alla collaborazione con Acer, è stato possibile dare il via a un progetto di secondo livello, “Finalmente una casa”, riservato a giovani usciti da tempo dall’accoglienza che, malgrado i solidi requisiti lavorativi ed economici, non riescono a trovare una sistemazione. A livello nazionale, Agevolando, con i suoi progetti abitativi, è in grado di accogliere oltre 50 care leavers.

Quali sono le principali difficoltà che si incontrano in questo percorso?
La principale criticità nell’avvio di un progetto abitativo è il reperimento di alloggi in comodato d’uso gratuito o a costi accessibili, in modo da assicurarne la sostenibilità a tutti gli effetti. Le formule adottate nelle diverse città hanno visto la collaborazione dei Comuni, di aziende pubbliche di edilizia popolare, di privati e di altre realtà del terzo settore. La collaborazione con le amministrazioni comunali e gli enti gestori di edilizia popolare risulta estremamente efficace nell’ottica di elaborare delle progettualità specifiche e conferire visibilità a un problema che va gestito con una varietà di strumenti. È poi fondamentale reperire in modo continuativo i fondi necessari per coprire le spese legate alla gestione degli alloggi, ma anche i costi delle attività educative, che richiedono competenze e professionalità.
Nell’attuazione dei progetti e nel rapporto con i ragazzi beneficiari, si presentano criticità che possono essere ritenute “classiche”: i conflitti derivanti da convivenze difficili, la difficoltà di alcuni nel gestire il denaro e coprire le proprie spese, il rapporto con il condominio, l’insofferenza nei confronti delle regole del progetto, ma anche il senso di disorientamento di chi si affaccia su un mondo del lavoro precario e fatica a comprenderne i meccanismi. Problemi che si possono risolvere a patto di creare una relazione di fiducia e rispetto reciproci, nel comune obiettivo di percorrere insieme un pezzo di strada per dotarsi di migliori opportunità di vita.

Cosa manca e cosa servirebbe, a livello politico e di risorse, perché questa opportunità possa essere offerta a tutti i care leavers che ne abbiano bisogno?
Mancano delle politiche che riconoscano a questi giovani, al termine dei periodi di accoglienza, il diritto ad una casa e che forniscano gli strumenti e i fondi necessari per garantire loro tale diritto. Si tratta di un progetto importante e ambizioso da costruire assieme alle istituzioni. Esistono diverse esperienze di “abitare sociale”, che sono ben condivise e promosse, ma sono ancora poche e del tutto insufficienti a coprire le reali esigenze dei ragazzi.

Come vedete il futuro di questo modello?
I progetti abitativi si confermano, anno dopo anno, come fondamentali nel dare ai care leavers usciti dalle accoglienze una risposta che stenta ad arrivare da altri canali e che non può essere trovata nel libero mercato delle locazioni. Il futuro di questi progetti, che potrebbero essere ulteriormente implementati, dipende però dalla possibilità di stringere alleanze con partner pubblici e istituzionali, in grado di offrire, non solo un appoggio concreto indispensabile, ma anche la disponibilità a valutare quali strumenti o interventi aggiuntivi possano massimizzare l’impegno e le risorse investite. Per assicurare una continuità a questi progetti è necessario garantirne la sostenibilità. Da questo aspetto dipendono i futuri sviluppi.

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