Come è cambiato il SSN: sempre più servizi privati e cure fuori regione
ROMA - Nel corso degli ultimi anni sono stati da più parti sottolineati come urgenti interventi da intraprendere per contrastare fenomeni come, ad esempio, il virare dei servizi sanitari sempre più verso l’ambito privato, inclusa l’assistenza ospedaliera, l’insufficienza delle risorse di personale del SSN, la scarsità dei medici di medicina generale, l’esodo di pazienti verso strutture di altre regioni, il tutto in un particolare contesto, quello italiano, che vede un progressivo e rilevante invecchiamento della popolazione, con le intuibili conseguenze sul fronte sanitario (e non solo). E' quanto emerge dal rapporto "40 anni del servizio sanitario nazionale" realizzato da Nebo Ricerche PA, in occasione del quarto decennale della fondazione. Un Rapporto che fotografa la sanità italiana in quattro tappe fondamentali: la nascita del SSN, la riforma dei primi anni ’90, il passaggio al federalismo sanitario, l’assetto attuale.
Posti letto e giorni di ricovero dimezzati. Dai primi anni ‘80 a oggi si evidenzia un imponente ridimensionamento sia dei reparti medici che di quelli chirurgici, oltre che delle aree materno-infantile e psichiatrica (inclusa l’ex manicomiale), riduzione solo in minima parte compensata dall’aumento di letti dell’area della terapia intensiva e per la riabilitazione e la lungodegenza. Quest’ultimo settore, peraltro, sembra essere l’unico per il quale la distribuzione sul territorio dei posti letto resta sensibilmente disomogenea, secondo un andamento tendenzialmente nord-sud ma che presenta tuttavia rilevanti eccezioni. Parallelamente, dai quasi 13 giorni di degenza media dei ricoveri ospedalieri del 1981 si è giunti agli attuali 7. Alla riduzione dei posti letto e della degenza media hanno concorso, fra le altre cause, la riorganizzazione dell’assistenza psichiatrica, soprattutto nel corso degli anni ‘80, e successivamente la riforma sanitaria del 1992-93.
Assistenza ospedaliera sempre più privata. L’evoluzione di tecnologie mediche e chirurgiche unitamente a una differente concezione dell’assistenza sanitaria possono giustificare se non motivare una spinta verso la deospedalizzazione (e quindi la sempre minore necessità di posti letto): l’indice di ospedalizzazione, in crescita fino ai primi anni del 2000, fa in effetti registrare una brusca inversione di tendenza che attenua peraltro le difformità territoriali e che porta il numero di ricoveri per mille abitanti da circa 200 agli attuali 140. Quel che più colpisce, però, è come la riduzione dei letti sia stata tale da portare la quota dei posti letto privati da meno del 15% a oltre il 20%, con valori che in Campania e in Calabria superano il 30%.
Ricoveri fuori regione in aumento. Contestualmente al diminuire dei letti pubblici e all’aumentare, in proporzione, di quelli privati si registra in alcune regioni, soprattutto meridionali, un incremento di assistiti che ricorrono al ricovero fuori dalla propria regione. La mobilità interregionale dei pazienti, infatti, non solo è complessivamente in aumento, ma fa anche registrare una più marcata eterogeneità a livello regionale e in generale sposta ancor di più l’asse dell’attrazione verso le regioni del nord, in particolare in Lombardia ed Emilia Romagna, alle quali si aggiunge la Toscana, mentre sposta quello della fuga verso le regioni meridionali, alle quali si aggiungono, sia pure in misura meno marcata, le restanti regioni del centro Italia.
Personale dipendente, inversione di tendenza? L’approfondimento sui numeri del personale è risultato il più problematico da affrontare per la difficoltà di assemblare dati completi e confrontabili. I documenti consultati, tuttavia, indicano in circa 71 mila unità i medici dipendenti pubblici che a valle della riforma del ‘78 erano interessati dal rinnovo del contratto; di questi quasi 60 mila erano indicati come ospedalieri. Il personale medico e infermieristico del SSN è negli anni aumentato fino al 2008, valore che si conferma sostanzialmente nel 2016: l’ultima rilevazione del Conto Annuale del Personale indica in circa 104.500 i medici dipendenti del SSN e in quasi 262.500 gli infermieri, valori che - per effetto dell’aumento della popolazione - comportano tuttavia una flessione, sia pur lieve, nel numero di unità per 10.000 residenti. Nel tempo si è conservata inoltre una sensibile variabilità territoriale, presumibilmente anche legata all’organizzazione dei servizi sanitari locali: per il 2016 la media nazionale di 17 medici per 10.000 abitanti deriva da valori locali che variano dai 13 medici per 10.000 del Lazio agli oltre 26 della Sardegna; analogamente, per gli infermieri la media di 43 unità per 10.000 residenti risulta il baricentro fra realtà locali che variano dai 32 della Campania ai 64 infermieri per 10.000 residenti del Friuli Venezia Giulia.
Medici di base sempre più oberati. Il numero complessivo dei medici di base (di medicina generale e pediatri) è andato complessivamente diminuendo nel corso degli anni considerati e dalle quasi 11 unità per 10.000 abitanti del 1985 si è giunti a meno di 9 nel 2013 (ultimo aggiornamento disponibile). In altre parole, il dato più recente equivale a 1.140 residenti per medico di base a fronte dei 924 degli anni ‘80.
Indice di vecchiaia triplicato, speranza di vita aumentata di oltre 8 anni. Nel corso degli ultimi 40 anni il quadro demografico italiano è sensibilmente mutato e se da un lato ha beneficiato degli effetti del SSN, dall’altro ha contribuito a sollecitarne i cambiamenti, in un mutuo scambio di causa-effetto. Le numerose USL dell’esordio erano caratterizzate da una popolazione molto più giovane dell’attuale, ieri come oggi, però, con rilevanti differenze sul territorio. L’eterogeneità a livello locale è ben visibile anche dai valori della speranza di vita, passata nel complesso da meno di 75 anni del 1983 a quasi 83 del 2016 ma che per quest’ultimo anno varia, a livello provinciale e per genere, per le femmine dagli 83 anni di Napoli agli oltre 86 di Pordenone e per i maschi dai 78 di Caserta agli oltre 82 di Rimini. Questa variabilità viene amplificata calcolando la popolazione pesata, cioè quella che dovrebbe meglio approssimare la consistenza degli assistiti in ragione delle risorse assorbite alle diverse età. La combinazione dell’invecchiamento della popolazione e dell’evoluzione del sistema di pesi (nel tempo più accurato) fa sì che la popolazione pesata adottata nei primi anni ‘80 equivalga a un numero di assistiti variabile tra i 96 e i 104 rispetto a 100 residenti mentre quella attualmente in vigore stimi valori compresi tra 92 e 107. Come intuibile, i valori più bassi si registrano nel Napoletano, i più elevati in Liguria.