Come rientrare a scuola? Novara: “Non sia un centro clinico"
ROMA – Una cosa è certa: non sarà un rientro a scuola come gli altri. Se ogni anno, intorno alla metà di settembre, semplicemente la campanella suonava e gli studenti tornavano in classe, più o meno volentieri, quest'anno il primo giorno di scuola è avvolto in una nube d'incertezza e preoccupazione. “Come rientrare a scuola” è la domanda a cui tanti – politici, studenti, genitori e insegnanti – cercano una risposta possibilmente chiara e certa. Ed è questa domanda a dare il titolo al convegno che si svolgerà, online, il 27 e 28 agosto, organizzato da Daniele Novara e dal suo Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti.
“E' pensato per tutti gli insegnanti, che si troveranno in una situazione inedita – spiega Daniele Novara nel video di presentazione – che nessuno ha mai vissuto: dopo mesi di chiusura per una pandemia, le scuole riaprono”. Ma come riaprono? Novara anticipa qualche indicazione generale, a partire da ciò che le scuole non dovranno essere.
Scuole, non centri clinici
“Non dobbiamo trasformare la scuola in un centro clinico, in una specie di ospedale - raccomanda innanzitutto Novara - A scuola i ragazzi devono andare volentieri. La parola chiave non è sicurezza: la sicurezza è una condizione. La parola chiave è accoglienza: dobbiamo costruire le basi perché sia le famiglie che i nostri alunni tornino a scuola con lo spirito giusto, che è quello voler incontrare i compagni, costruire una comunità di apprendimento. È lo spirito di chi vuole con entusiasmo continuare la sua vita nell'apprendimento”.
La scuola, alleata dei ragazzi e volano della rinascita
Novara ricorda quindi quella che ritiene la funzione e la ragion d'essere principale della scuola: “A quell'età non c'è niente che ti può fermare, vuoi imparare, vuoi farcela – ricorda, riferendosi agli studenti - La scuola allora è l'alleata dei ragazzi e dei genitori: costruiamo questo momento”. E il convegno servirà proprio a dare “gli strumenti per fare in modo che il rientrare a scuola non sia un momento di paura, angoscia e trepidazione, ma di allegria e interesse, in cui tutti si sentiranno pronti a dare il meglio di sé”.
Tanto più cruciale è il ruolo della scuola nel momento in cui il Paese è deciso a ripartire. “La scuola è il volano della rinascita, della ripresa, del fare comunità”. Questo va ribadito, secondo Novara, proprio nel momento in cui il dibattito sembra appiattisti su banchi e organizzazione degli spazi: “La logistica scolastica non è l'argomento essenziale – afferma - Noi dobbiamo avere una scuola che accolga gli alunni, dobbiamo avere insegnanti preparati, che scelgono questa meravigliosa professione, che crea le condizioni perché, di generazione in generazione, la società vada avanti e sappia tirar fuori le risorse dai bambini e dai ragazzi. Spero quindi che si smetta di parlare di banchi con le rotelle e si cominci finalmente a chiederci: che scuola vogliamo? Che insegnanti vogliamo? Come organizziamo l'apprendimento, quale metodo ci vuole? Daremo tante risposte nel convegno di agosto – conclude - e metteremo tutta la nostra esperienza su questo importante tavolo di lavoro. Questa è l'occasione e per avere una scuola migliore”.
Lo spazio educatore e l'alunno sordo
Grande importanza e significato riconosce invece proprio alla “logistica scolastica”, un altro educatore pedagogista, Franco Lorenzoni. In una riflessione pubblicata su Internazionale, entra con forza nel dibattito suscitato dai banchi con le ruote, “perché il modo in cui si arreda e si organizza lo spazio influenza le relazioni reciproche e configura metodi di lavoro”. E riporta un'esperienza personale, con la sua classe di Giove, in Umbria, quando la presenza di un alunno sordo suggerì “una soluzione semplice e geniale al problema, invitandoci a trasformare leggermente le nostre sedie”. Dal momento che il rumore generato dallo spostamento delle sedie provocava fastidio e nervosismo al ragazzo, a causa dell'impianto applicato alle sue orecchie, abbiamo fatto due tagli a forma di croce su 84 palle da tennis usate, comprate per pochi euro su internet, e le abbiamo infilate sotto ai piedi delle nostre sedioline. Da quel giorno – assicura Lorenzoni - il paesaggio sonoro della classe è radicalmente mutato, perché bambine e bambini potevano spostare tranquillamente le loro sedie per mettersi al lavoro intorno a un grande tavolo composto da quattro o sei banchi, oppure metterle in cerchio per discutere insieme guardandoci negli occhi, come facevamo ogni mattina, senza che alcun rumore fastidioso di ferraglia rimbombasse nella classe, innervosendo Alessandro e affaticando i nostri timpani”.
E' un esempio semplice ma efficace di come l'organizzazione dello spazio possa essere non solo educativa, ma anche inclusiva. “Spostare banchi e sedie rimodulando continuamente lo spazio a seconda delle attività e delle ricerche in cui ci si impegna – afferma quindi Lorenzoni - è condizione imprescindibile per una scuola attiva”. E' quindi pedagogicamente significativo e preoccupante “che queste sedute attrezzate costino tre volte tanto i normali banchi, siano interamente di plastica e dunque poco ecologiche, abbiano piccoli piani ribaltabili adatti a ospitare tablet o portatili ma non più di due quaderni e libri e, soprattutto, non si possano unire tra loro per lavorare in gruppo condividendo materiali”,