Coop operaie di Trieste, tremano 17mila risparmiatori. In ballo i soldi di una vita
TRIESTE - Adesso ogni speranza dei 600 lavoratori e dei 17 mila piccoli risparmiatori è appesa all’acquisizione delle Coop operaie di Trieste, Istria e Friuli da parte delle Coop Consumatori Nordest (630 mila soci e un patrimonio di circa 800 milioni di euro). Queste ultime, nei giorni scorsi, avevano già evidenziato “la solidità e la liquidità assolutamente fuori discussione” del loro prestito sociale sulle pagine dei giornali locali. Ieri, nell’udienza prefallimentare, l’avvocato Maurizio Consoli, in veste di amministratore giudiziario, ha infatti chiesto ai giudici di via del Coroneo il rinvio della decisione sull’istanza di fallimento e, soprattutto, 5 settimane di tempo per definire proprio l’acquisizione delle Coop operaie triestine da parte delle Coop Nordest. Se l’operazione andrà in porto, le Coop Nordest “entrerebbero” subito nell’operazione-salvataggio con 80 milioni di euro.
Secondo l’accusa della Procura, le Coop triestine avrebbero circa 37 milioni di euro di “buco”, un passivo mascherato da operazioni immobiliari al fine di “gonfiare il patrimonio netto e rientrare - solo fittiziamente - nei parametri per il prestito sociale”. Lo stesso amministratore giudiziario Consoli ha parlato ieri di “oltre 30 milioni” di passivo, confermando il debito verso i soci pari a 103 milioni di euro. L’ex dirigenza delle Coop triestine, oggi sotto accusa, si è difesa così: «Nessuna banca, né cooperativa ha i soldi dei propri risparmiatori pronti in cassa», ha affermato l’ex presidente, Livio Marchetti, esautorato dai suoi poteri dai giudici insieme al vecchio Consiglio di amministrazione.
L’istanza di fallimento delle Coop era stata avanzata dai pm Federico Frezza e Matteo Tripani il 16 ottobre scorso e aveva ottenuto, come effetto immediato, la nomina dell’amministratore giudiziario Consoli. Nei giorni scorsi (così come è accaduto anche ieri in via del Foro Ulpiano, attigua al tribunale, dove si sono riunite oltre 200 persone) erano stati soprattutto gli anziani a scendere in strada, davanti alla sede delle cooperative triestine di via Gallina.
Determinati a ritirare – senza successo – i propri risparmi. Allora, solo davanti allo sportello laconicamente “fuori servizio”, ai più è balzata chiara la netta differenza fra il prestito sociale (garantito solo al 30 per cento) e un deposito bancario inferiore ai 100 mila euro, garantito invece al 100 per cento dal Fondo interbancario. Detta altrimenti: in Italia sono pochi i sistemi di tutela per oltre 1 milione e 200 mila risparmiatori che prestano all’intero sistema cooperativo quasi 11 miliardi. "Non capiamo certi meccanismi, abbiamo solo la terza media", era stato il lamento protratto dei pensionati, timorosi per il loro futuro che avevano creduto di assicurare con qualche migliaio di euro di risparmio dati in gestione alle Coop locali. Tuttavia anche i più istruiti, i laureati, quelle persone fiduciose nel sistema di mutua assistenza delle coop, non si sarebbero mai aspettati “la serrata del prelievo”.
Intanto è nato un Comitato per la tutela dei risparmiatori Coop che ha toccato quota 1200 sottoscrizioni e il gruppo chiuso su Facebook “Cooperative Operaie Trieste soci come cautelarsi?”, che ha superato quota 1500. Anche le associazioni di difesa dei consumatori si sono fatte sentire.
Il Movimento difesa del cittadino (MDC) ha presentato un esposto alla Banca d’Italia e aperto un ricorso all’Antitrust sul caso. "Come per altri scandali - ha dichiarato il suo vicepresidente, l’avvocato Francesco Luongo -, le associazioni dei consumatori faranno di tutto per garantire ai risparmiatori coinvolti una chiara informazione su cosa sta accadendo e sulle reali possibilità di vedersi restituire i soldi prestati. Questa vicenda dimostra la necessità di rivedere la disciplina normativa dei prestiti alle cooperative e l'avvio di verifiche a largo raggio da parte della Banca d'Italia su questa tipologia di raccolta del risparmio tra i soci, per evitare il ripetersi di episodi analoghi". La vicenda è seguita da vicino dalle sedi regionali del Movimento a Udine, dove i risparmiatori potranno avere informazioni sul da farsi.
Tuttavia la crisi aziendale delle Coop operaie di Trieste, Istria e Friuli, esplosa in tutta la sua drammaticità nel capoluogo regionale a metà ottobre quando i pensionati hanno sostato per ore davanti alla sede di via Gallina richiedendo (invano) i loro risparmi, non è un fulmine a ciel sereno. I primi segni di “malessere” delle Coop possono essere rinvenuti già sette anni fa, nel 2007, quando l’allora consigliere dei Verdi, Alessandro Metz, in Consiglio regionale avanzava una richiesta di revisione straordinaria, temendo il profilarsi di una situazione critica come quella odierna. Metz già parlava di “una gestione deficitaria e inadeguata, capace di raggiungere il pareggio di bilancio solo grazie all'alienazione di rilevanti cespiti aziendali”. Per queste sue parole fu querelato dal presidente delle Coop triestine, poi il tutto finì nel nulla. Oggi, molti cittadini e tutti i 17 mila piccoli risparmiatori (molti dei quali anziani) il cui deposito ammonta a 103 milioni di euro si fanno la stessa domanda di un socio prestatore, “un marinaio che conosce un po’ il mare, il vento e le stelle, ma privo di nozioni di legalità e di diritto pubblico e privato”, come egli stesso si descrive in una lettera inviata alla redazione de Il Piccolo. Il marinaio Antonio Schiavone, che adesso non può ritirare i suoi risparmi e quelli della mamma novantaquattrenne, ha però riletto attentamente l’articolo 21 delle norme che regolano il deposito di denaro nelle casse delle Coop triestine, specie laddove è scritto che “le cooperative operaie sono sottoposte ai controlli del ministero del Lavoro e della Regione autonoma Friuli Venezia-Giulia”. La domanda del marinaio è scontata: se i controllati (gli ex vertici delle Coop) sono oggi sotto la lente d’ingrandimento dei pm, cosa hanno fatto i controllori fino ad oggi?
In un articolo del 21 aprile 2011, dal titolo La cricca spolpa Trieste e noi assistiamo, il giornalista Paolo Rumiz chiedeva: “Nessuno (…) mette il naso in quell'altro santuario, discutibilmente gestito, che sono le Cooperative operaie, caposaldo inesplorato dell'immobilismo locale?”. Ma Rumiz aveva anche fatto di meglio il 23 giugno 2012, con una lettera aperta indirizzata al presidente delle Coop triestine, Livio Marchetti nella quale sosteneva che i conti sembravano non tornare, alla luce della situazione debitoria e dei beni patrimoniali venduti. Rispondendo a Rumiz, Marchetti rassicurava così i risparmiatori: "I 17 mila soci prestatori - aveva affermato il numero uno delle Coop operaie triestine -, devono sapere che il loro denaro è al sicuro, tutelato e messo a rendita. Non rischiate di perdere i vostri risparmi: ci sono precise norme e garanzie, società di revisione indipendenti. La Lega e la Federazione delle Cooperative vigilano su di noi”.
Qualche giorno fa, Paolo Menis, consigliere comunale del M5Stelle, assieme al collega che siede in Consiglio regionale, Andrea Ussai, ha sottolineato in una nota sul sito della lista civica Trieste 5 Stelle come “bastasse leggere due bilanci in fila per capire che qualcosa non tornava”.
Poi hanno aggiunto: "La responsabilità non va, infatti, ricercata solamente nell’operato degli amministratori delle Cooperative operaie”, scrivono, “ma anche in chi avendo compiti di vigilanza, come la Regione, non ha esercitato le proprie funzioni e in chi, durante tutti questi anni, ha favorito un sistema omertoso per puro interesse personale”.
Dunque si attende la decisione del tribunale sulla richiesta di tempo – le 5 settimane, ossia fino a dicembre - avanzata dal commissario giudiziario Consoli. Poi, se fattibile, “il salvataggio” da parte delle Coop Nordest. In queste ore, però, le paure restano: infatti l'eventuale fallimento delle Coop triestine potrebbe trasformarsi in crisi sociale visto il peso di 17 mila piccoli risparmiatori, molti dei quali anziani, su una città di appena 205 mila abitanti. Persone disorientate che, senza quella soluzione che ad oggi ancora non c’è, intravedono nel fallimento delle Coop operaie la perdita di buona parte dei risparmi, che potrebbero scemare fino al 30 per cento del capitale accantonato. (Paolo Giovannelli)