Cooperazione, la riforma vista dalle ong: il punto debole sono i fondi
MILANO – Cosa pensano le ong della nuova riforma della cooperazione? Altreconomia lo ha chiesto a dieci storiche organizzazioni italiane: Acra, Action Aid, Cesvi, Coopi, Cospe, Cosv, Mani Tese, Icei, Istituto Oikos e Soleterre. Il risultato è un'approfondita analisi su luci ed ombre del testo che attende l'ultima approvazione al Senato, da leggere sul numero del mensile uscito ad inizio settembre.
È unanime la voce degli operatori umanitari quando si tratta di commentare la necessità di una riforma. Quando l'ultima legge è entrata in vigore, nel mondo esistevano ancora il muro di Berlino e i due blocchi sovietico e americano: un'altra epoca. L'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo potrebbe essere la più grande novità. E il giudizio sarà positivo solo nel caso in cui fosse in grado di garantire maggiore continuità e progettazione a tutto il comparto degli aiuti umanitari italiani. Oggi, al contrario, rileva Altreconomia, alle ong pare di essere ancora destinatari di "beneficenza", di ricevere sostegno solo se avanza qualcosa in cassa, invece che essere considerato un attore di prim'ordine nelle relazioni internazionali.
E qui si arriva ai punti dolenti. Nella nuova legge, si apre il mondo della cooperazione alle aziende private, al pari delle realtà non profit. Il budget a disposizione però è poco già per le ong: nel 2013 il ministero degli Esteri ha assegnato loro appena 15 milioni di euro su un totale di 2,4 miliardi destinati all’aiuto pubblico allo sviluppo, lo 0,16% del prodotto interno lordo (PIL). La nuova riforma poi crea "un'istituzione finanziaria per lo sviluppo" (leggi Cassa depositi e prestiti) soggetto che già controlla, attraverso due società, i servizi di assicurazione degli investimenti esteri delle imprese (Sace) e di supporto all’internazionalizzazione delle aziende italiane (Simest). Il rischio che si corre è quindi marginalizzare chi fa davvero aiuto umanitario, aprendo il mondo ad attori che hanno maggiore capacità di attrarre investimenti, come i privati, rispetto alle ong.
Il piatto per altro piange anche in Europa. Secondo i dati riportati da Altreconomia mancano 250 milioni di euro per coprire le necessità delle emergenze umanitarie del 2014 alla Commissione europea per gli affari umanitari e la protezione civile (Echo). (lb)