Cosa vuol dire essere artisti con disabilità? Il mondo dello spettacolo apre il confronto
Uno dei workshop realizzati dall’associazione “Al. Di. Qua Artists” al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della disabilità nel mondo dell’arte e dello spettacolo
BOLOGNA - Corpi e limiti. Corpi unici, plurali. Fragili e ribelli. Ma non solo corpi, anche storie, voci, sguardi. E un obiettivo: cambiare il contesto culturale e sociale nel profondo. È l’associazione Al. Di. Qua Artists, composta da artisti e lavoratori con disabilità del mondo dello spettacolo. Il gruppo, nato spontaneamente su Zoom durante il lockdown, oggi si sta costituendo in associazione di promozione sociale. Tra le attività organizzate ci sono le consulenze per dare sostegno ad artisti e direttori artistici rispetto all’inclusione e all’accessibilità, i corsi di formazione, i talk e i dibattiti, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della disabilità nel mondo dell’arte e dello spettacolo.
"Per il momento siamo sette persone, più diversi altri artisti che ruotano intorno all’associazione - racconta Diana Anselmo, 23 anni, l’artista più giovane del gruppo -. C’è chi come me fa installazioni per festival, chi si occupa di coreografia, chi insegna cinema o arte digitale all’università. E poi abbiamo performer, attori, danzatori. Siamo sparsi un po’ in tutta Italia: dal Veneto all’Emilia Romagna, da Firenze a Roma, passando per le Marche. Prima del lockdown ci conoscevamo attraverso le nostre reti, ma è stata la pandemia a darci la spinta a creare questa nuova realtà".
Il gruppo ha fatto germogliare le sue basi con pazienza e determinazione, confrontandosi sugli obiettivi e sui significati di alcuni termini chiave. Come, appunto, la parola “disabilità”. "Ci siamo accorti che le definizioni variavano da persona a persona e che, inoltre, quello che emergeva era un racconto imposto dal punto di vista di qualcun altro, che non risuonava nelle nostre esperienze di vita", sottolinea Chiara Bersani, vincitrice del premio Ubu 2018 come migliore attrice under 35 e affetta da una forma di osteogenesi. "Non vogliamo negare la nostra fragilità, tutt’altro - continua -. Vogliamo però sottolineare come i nostri corpi sono disabilitati dalla struttura sociale e dal contesto culturale che ci circonda: desideriamo abbattere i muri dell’isolamento e prenderci lo spazio che ci viene tolto".
Il primo esordio pubblico del gruppo è avvenuto a luglio, in occasione del festival del teatro di Santarcangelo, dov’è stato organizzato un tavolo di confronto per creare un percorso di consapevolezza e capire cosa sta accadendo in era post-pandemica ad artisti, tecnici e lavoratori dell’arte dal vivo. In questa occasione, i membri del gruppo hanno presentato il loro manifesto: "Esiste un muro, abbiamo osservato, e quindi esistono un 'al di qua' e un 'al di là'. Nell’al di qua eravamo monadi solitarie ma ci siamo riunite, abbiamo dato nuovi nomi alle cose, ci alleniamo collettivamente a essere forza eterogenea e compatta. Vogliamo contagiare con forza capillare l’al di là, costruire nuovi spazi di possibilità, rileggere i meccanismi di partecipazione, diventare voce nel cuore del dibattito contemporaneo affinché il nostro corpo non sia la prima e ultima cosa che si dica di noi. Vogliamo che nessuno parli mai più a nome nostro".
Il cammino di questo gruppo parte da una richiesta di tutela degli artisti disabili, che in Italia sono sempre più presenti nelle compagnie e nei festival. "Il corpo con disabilità è spesso percepito come veicolo di attrazione dello spettatore - afferma Anselmo -. Sempre più, nel mondo dell’arte e della cultura, si sente parlare di inclusione e di disabilità: da un lato questo è un bene, perché c’è maggiore attenzione e consapevolezza. Dall’altro, però, noi artisti con disabilità corriamo il rischio di essere strumentalizzati attraverso i nostri corpi: non basta includere una persona disabile in un evento per potersi dire davvero sensibili alla tematica. La diversità non può restare tale, deve risemantizzarsi e arrivare a significare qualcos’altro, qualcosa di nuovo e di inclusivo, perché il messaggio arrivi davvero. È questo che fa l’arte".
Anche se il gruppo è nato da poco, sono già molte le collaborazioni intraprese e i progetti per i prossimi mesi. Per prima cosa, verrà rafforzato il dialogo con il festival Oriente e Occidente di Rovereto, manifestazione internazionale di danza contemporanea che ha scelto l’associazione come punto di riferimento per aprire i propri spettacoli a un pubblico anche con disabilità. "Solitamente i festival seguono i protocolli ideati dall’Unione europea per l’accessibilità degli spettacoli - commenta Bersani -. Queste linee guida, astratte e generiche, spesso non si adattano ai casi concreti. Il festival Oriente e Occidente, confrontandosi con noi, ha compreso quanta distanza c’è tra la realtà e i procedimenti imposti dalla burocrazia".
Un’altra realtà che ha aperto le porte al movimento è l’Orlando Festival di Bergamo, sul tema dell’identità, delle relazioni e delle rappresentazioni del corpo. Inoltre, proprio Chiara Bersani, assieme a Giulia Traversi, sarà la direttrice artistica della rassegna Spazio Kor di Asti, per la stagione 2021/22, con l’obiettivo di renderla completamente accessibile. "Non sono i nostri corpi il problema, non le nostre competenze fisiche, motorie, sensoriali, neurologiche, cognitive - affermano gli artisti nel manifesto -. Ci è stato detto che il nostro essere corpi marginalizzati è diverso dalle altre esperienze di minoranza. Ci è stato insegnato a dire permesso, grazie, scusa. Ci è stato imposto di non pretendere. C’è sempre stato uno specialista, professionista, artista a spiegarci chi eravamo e cosa dovevamo fare. Siete sicuri che i 'bisogni speciali', per esempio di comprensione-ascolto-validazione, siano davvero necessità così speciali e non piuttosto di tutti?".
(L’articolo è tratto dal numero di dicembre di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)