Così il Covid (e non solo) mette in crisi l'assistenza domiciliare
ROMA – Persone con gravissime disabilità, che vivono in casa e qui hanno bisogno di assistenza infermieristica, spesso necessaria 24 ore su 24, sono di fatto abbandonate, perché “l’assistenza domiciliare su pazienti ad alta complessità di fatto non viene più erogata dalle società accreditate per conto della Regione Lazio”. La denuncia della situazione, testimoniata su queste pagine anche dal racconto di una mamma caregiver, arriva dall'associazione Adi Famiglie italiane, che tramite la presidente Serena Troiani ha inviato una lettera alla Regione, per rendere noto come “le società accreditate continuano in tutta tranquillità a lasciare assistenze con numerosi turni scoperti, senza offrire più quelle garanzie che hanno permesso il loro accreditamento. Nello stesso tempo però vengono attivate nuove assistenze a bassa intensità con l’impiego di altre risorse infermieristiche”. Il tutto, senza che le società “subiscano alcuna conseguenza, al contrario delle nostre famiglie, che hanno silenziosamente subito di tutto e sono ormai stanche, distrutte, abbandonate dalle istituzioni”.
I più colpiti, insieme ai pazienti, sono infatti i loro caregiver, costretti a sopportare un enorme carico psico-fisico, ormai da troppo tempo, completamente soli. Questa figura tra l’altro è in attesa di un riconoscimento che gli conferisca il valore che merita£, ricorda l'associazione, che torna a sollecitare l’approvazione di una legge regionale che riconosca il ruolo del caregiver.
Quanto l'assistenza domiciliare rappresenti un servizio fondamentale lo spiega così l'associazione: “La maggior parte delle assistenze ad alta intensità necessitano di assistenza h24: giorno e notte. L’alta intensità necessita di personale specializzato: il personale infermieristico che assiste un paziente ad alta complessità deve avere un profilo adeguato: esperienza pratica, non solo preparazione teorica, formazione, specializzazione anche pediatrica se si tratta di pazienti pediatrici. Il personale deve essere preparato inoltre con affiancamenti, per prendere adeguatamente in carico il caso specifico, spesso raro, unico, ad altissima complessità. Il personale infermieristico dotato di laurea in scienze infermieristiche, che non ha mai visto una crisi epilettica, che non ha mai visto una tracheostomia, che non ha idea di cosa sia un ventilatore meccanico, non ha idea di cosa sia un aspiratore, non ha idea di cosa significhi disostruite una cannula e salvare la vita, in caso di emergenza, ad un paziente ventilato, non può essere inviato 'a caso' sul caso raro! - fa notare Serena Troiani, presidente dell'associazione - Il fatto che ci siano dei bisogni di assistenza imprescindibili, il fatto che esista un diritto alla continuità di cura e all’assistenza del paziente presso il proprio domicilio, sancito per legge, dovrebbe vederci tutti impegnati a garantire questo tipo di assistenza, a tutela del malato e della sua famiglia. Scrivo non solo come madre caregiver della mia bimba, ma come presidente dell’associazione che rappresento e che tutela le famiglie come le nostre. Non garantendo l’assistenza al paziente, si rende impossibile la vita di tutto il nucleo familiare, già duramente colpito dalla grave malattia del proprio caro”.
E la pandemia non giustifica questo abbandono istituzionale delle famiglie: “Come la regione Lazio garantisce l’assistenza negli ospedali del nostro territorio, così può e deve garantire l’assistenza ai nostri malati cronici nelle nostre abitazioni, perché i nostri malati, i nostri disabili ad alta complessità non hanno meno diritti, meno dignità, meno necessità di altri malati. E il valore della loro vita non vale meno della vita degli altri malati”.