Covid e disabilità, “mai più in ospedale da soli”
I media hanno rilanciato il tema con una “buona notizia”: la storia di un uomo con sindrome di Down e di suo nipote (che lo assiste), ricoverati insieme all'ospedale Celio di Roma. Tuttavia, con le difficoltà nell’accesso alle cure e nell’ospedalizzazione, i familiari di persone con disabilità si confrontano da sempre. Criticità, complicate dalla difficoltà dei pazienti con disabilità a collaborare con medici e operatori sanitari, che la pandemia ha fatto esplodere.
Le difficolta emergono già nel momento in cui è necessario sottoporsi a tampone: per chi ha una disabilità intellettiva o un disturbo dello spettro autistico può essere anche necessaria la sedazione.
Ecco perché, in caso di Covid (ma non solo), ricoverare un caregiver insieme alla persona con disabilità è “un diritto fondamentale” prima ancora che una necessità, spiegano i caregiver familiari, che fin dall'inizio della pandemia chiedono che questa possibilità sia garantita in tutti gli ospedali.
Colpisce la storia di Gabriele che ha 37 anni e una grave disabilità. A ottobre è stato ricoverato a Lecce, dopo i sintomi e il tampone positivo. Il fratello, grave, al piano di sopra dello stesso ospedale e mamma e papà, ultrasessantenni, positivi anche loro. La mamma, dopo tre giorni, è riuscita a farsi ricoverare con lui. "Oggi i medici mi dicono che l'ho salvato”, racconta. Ma c'è anche la storia, tanto drammatica quanto silenziosa, di Daniele, che al Covid non è sopravvissuto; del padre, che si è lasciato “portar via dal Covid” quando ha capito che questo si sarebbe preso suo figlio; e della mamma, che ha dormito in macchina per giorni, fuori dall'ospedale, pur di accompagnare fino alla fine quel figlio a cui aveva dedicato la vita, ma a cui non ha potuto stare accanto, nel momento più brutto.
Le associazioni di caregiver chiedono un protocollo dedicato in caso di ricovero, che preveda sempre la presenza e l'assistenza del caregiver familiare e percorsi personalizzati o alternativi al ricovero, per queste persone: "per esserci e assistere il proprio caro, per aiutarlo a guarire, quando questo sia possibile, o per accompagnarlo fino alla fine, quando ci sia altro da fare".
Una richiesta che è ora anche all'attenzione del ministero della Salute. Andrea Venuto, disability manager di Roma Capitale ha sottoposto allo staff di Conte la necessità e la Presidenza del Consiglio ha inviato richiesta ufficiale al ministero. Che il governo stia lavorando per "ridurre quantomeno le rigidità" lo conferma anche Antonio Caponetto, capo dell'Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità, secondo cui "bisogna uscire dalla logica dei 'percorsi speciali', per progettare strutture e servizi più accessibili a tutti”.
Intanto la regione Lazio, dopo aver ricevuto ripetute richieste da parte delle associazioni, ha emanato un documento con le indicazioni operative per la presa in carico di persone con disabilità non collaboranti in caso di Covid, prevedendo l'adozione di tutele specifiche, sia nella fase di accertamento diagnostico sia in caso di ricovero presso reparti di degenza ospedaliera.
Un’esperienza, ormai ventennale, in Italia viene dal progetto “Dama” (Disabled Advanced Medical Assistance), dell’ospedale San Paolo di Milano: sono ad oggi 15 i centri in Italia strutturati per accogliere i pazienti con grave disabilità, con difficoltà di comunicazione o incapaci di collaborare ad esami clinici e strumentali.