Criminalità, i reati degli immigrati crescono molto meno che per gli italiani
Foto di Fabrizio Villa
ROMA - La questione della devianza degli immigrati necessita più che mai di basarsi rigorosamente sui dati statistici per non incorrere in errori. Lo raccomanda il Dossier statistico immigrazione 2104 a cura del Centro studi Idos e Unar. I dati, finora inediti, provengono dall’Archivio Sdi (Sistema di indagine) della direzione centrale della polizia criminale (una struttura a composizione interforze), che elabora tutti i reati a conoscenza delle forze di polizia, avvalendosi del nuovo sistema di rilevazione messo a punto nel 2004. In Italia, le denunce contro autori noti - qui unicamente prese in considerazione, in quanto consentono un’analisi per cittadinanza, anche se sono un quarto di quelle totali – hanno avuto una crescita costante passando da 691.860 nel 2004 a 933.895 nel 2012.
Il numero delle denunce che coinvolgono gli stranieri è aumentato nel corso del tempo, ma molto meno rispetto al ritmo d’aumento di questa popolazione. Le denunce contro italiani sono passate da 467.345 nel 2004 a 642.992 nel 2012 (+37,6%), quelle contro stranieri da 224.515 a 290.902 (+29,6%), ma gli italiani nello stesso periodo sono risultati in leggera diminuzione, mentre gli stranieri hanno superato quasi il raddoppio (da 2 milioni e 210 mila a 4 milioni e 387 mila) e hanno visto diminuire la loro incidenza sul totale delle denunce contro autore noto dal 32,5% al 31,1%. In pratica, mentre la presenza di immigrati è cresciuta di quasi il 100 per cento, il totale delle denunce a loro carico ha avuto un incremento di meno del 30 per cento.
L’incidenza per reati e aree geografiche. Il 17,7% (dati 2009) di tutti gli addebiti a carico degli immigrati riguardano le violazioni alla normativa sul soggiorno. Rispetto invece all’incidenza media (31,%) rilevata per gli stranieri sul totale delle denunce con autore noto, si registrano valori molto più bassi (al di sotto del 20%) per determinate fattispecie come atti sessuali con minorenne (19,2), corruzione di minorenne (11,4) e usura (9,1); valori invece molto più elevati per reati come furti (47,8), ricettazione (47,2), sequestri di persona (44,3); violenze sessuali (40,3). Un analogo confronto viene fatto per le province: quelle sotto il 20% sono: Sondrio, Belluno, Latina, Frosinone e tutte le province del Sud e delle Isole, fatta eccezione per Teramo; quelle, invece, in cui l’incidenza è al di sopra del 35%, Ravenna e con i valori più alti Firenze (40,5), Prato (54,3) e Fermo (49,9). Queste rilevanti differenze territoriali, più che accreditare gli immigrati del meridione con un minore tasso di devianza rispetto agli italiani, secondo diversi commentatori attesterebbero solo che in quei territori la criminalità organizzata italiana lascia loro un minor campo d’azione.
Dalle contraffazioni alle lesioni dolose, i reati delle diverse comunità. Le collettività degli immigrati si caratterizzano per la diversa ricorrenza percentuale degli addebiti loro rivolti. Ad esempio, per la comunità albanese il 21,6% riguarda i furti, il 14,6 gli stupefacenti; per la comunità cinese il 14% riguarda la contraffazione di marchi, il 7,7 la ricettazione; per la comunità egiziana il 7,3% riguarda gli stupefacenti e il 6 le lesioni dolose; per la comunità nigeriana il 7,9% riguarda le lesioni dolose e il 3,1 le minacce; per la comunità senegalese il 25,9% riguarda la contraffazione di marchi, il 20 la ricettazione, il 7,6 gli stupefacenti. Per gli italiani il 9,2 per cento riguarda i furti, il 5,8 le lesioni dolose e il 7,5 le minacce.
Per gli italiani e gli stranieri considerati congiuntamente, il 6,3% riguarda le minacce; il 6,0 le truffe e le frodi informatiche, il 12,1 i furti, il 7,1 gli stupefacenti, il 3,7 la ricettazione.
In relazione alle fattispecie di reato a carico di singole collettività straniere, ci sono alcuni elementi di criticità nell’analisi criminologica. Ad esempio, in ordine alle denunce per contraffazione di marchi, che risultano essere significative sia per la collettività cinese che per quella senegalese, di fatto esse sono riconducibili a dinamiche ed ambiti criminali completamente differenti. Mentre le organizzazioni criminali cinesi hanno creato a livello globale un vero e proprio indotto della produzione, confezionamento e commercio delle merci contraffatte attraverso la gestione di fabbriche, aziende di trasporto e negozi, essendone quindi indiscussi protagonisti; nel caso della comunità senegalese si tratta per lo più di “venditori finali”, reclutati spesso dalla criminalità organizzata italiana per affidare loro la merce contraffatta da vendere sulle strade delle nostre metropoli.
Per quanto riguarda il mercato degli stupefacenti, si evidenziano collettività straniere di aree geopolitiche storicamente interessate dalle rotte del narcotraffico e di paesi in cui si coltiva e produce la droga da esportare in Europa per la vendita al dettaglio. Da qui la rilevanza, tra i denunciati, di immigrati dell’Africa sub-sahariana, spesso previo assenso da parte di gruppi criminali italiani. Da sottolineare la rilevanza del dato per la collettività albanese, la cui vicinanza geografica favorisce i traffici illeciti operati prevalentemente via mare e da gruppi criminali transnazionalmente organizzati.
Più carcere e meno misure alternative. Il Dossier prende avvio dai dati disponibili (seppure non recenti) sulle condanne comminate ai cittadini stranieri. Gli ultimi dati disponibili sui condannati nati all’estero con sentenza irrevocabile sono stati pubblicati dal servizio criminalità dell’Istat e si riferiscono al 2009. In tale anno, su 257.282 sentenze di condanna, 83.950 hanno riguardato persone nate all’estero (33%). Tra le persone nate all’estero, per il 12,8% si è trattato di donne. Questa la ripartizione per provenienze: Ue 18.522 e 22,1% (di cui Germania 1.304) ma per lo più si tratta di italiani rimpatriati, Romania 12.653, Albania 6.678, ex Jugoslavia 2.399, Moldova 1988, Ucraina 1.379); Africa 35.925; Asia 7136; America 5176.
Fatta questa premessa di natura statistica, il Dossier sottolinea una prassi discriminatoria, che consiste nel fatto che i cittadini stranieri sono maggiormente sottoposti alla custodia cautelare e, rispetto ai cittadini italiani, usufruiscono in minor modo di misure alternative alla detenzione. La disparità si evidenzia in particolar modo per la custodia cautelare applicata agli stranieri irregolari, ove la pericolosità sociale riguarda le condizioni socio-economiche e l’assenza di radicamento sul territorio (con susseguente pericolo di fuga) che incide sul trattenimento degli stranieri nelle strutture penitenziarie.