29 ottobre 2013 ore: 11:43
Economia

Crisi, basta finanza: per gli italiani il risparmio deve aiutare l’economia reale

Indagine Acri. Il 45 per cento degli Italiani non vive tranquillo se non mette da parte il denaro e la percentuale di chi ci riesce cresce lievemente. Peggiora la situazione economica di imprenditori, dirigenti, disoccupati e pensionati
Meccanismi finanza

ROMA -La crisi continua a farsi sentire e gli Italiani non pensano che la situazione possa migliorare in breve tempo: poco meno di 3 cittadini su 4 ritengono che per tornare ai livelli precrisi ci vogliano almeno 3-4 anni. Le difficoltà hanno, inoltre, portato verso nuovi equilibri sul fronte dei consumi e negli Italiani si è ulteriormente rafforzata la consapevolezza dell’importanza del risparmio, guardato sempre più come uno strumento funzionale allo sviluppo dell’economia reale piuttosto che alla finanza. Lo dice l'indagine "Gli italiani e il risparmio" di Acri - Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa, realizzata con Ipsos in occasione della 89ª Giornata Mondiale del Risparmio che si svolgerà domani a Roma.

La ricerca sottolinea che rispetto al 2009 (anno in cui la crisi si è pienamente conclamata) si sono infatti più che dimezzati coloro che associano il risparmio all’economia finanziaria, passando dal 29 per cento di allora al 14 per cento di oggi, e allo stesso tempo coloro che associano il risparmio all’economia reale sono cresciuti dal 60 per cento all’82 per cento. Il 61 per cento degli Italiani ritiene che il risparmio sia fondamentale per dare la possibilità alle imprese di assumere (nel 2011 lo riteneva fondamentale solo il 36%), il 46 per cento lo reputa fondamentale per dare alle imprese la possibilità di investire in ricerca e innovazione (nel 2011 era il 33%), il 42 per cento per finanziare le imprese in generale (nel 2011 era il 24 per cento). Quindi, nell’opinione degli Italiani, il settore bancario e finanziario deve svolgere primariamente il ruolo di intermediario tra risparmio dei cittadini e finanziamento delle imprese italiane, specie quelle che si ingrandiscono e perciò assumono lavoratori o che investono in innovazione e ricerca, secondariamente delle famiglie italiane, anche se la possibilità per le famiglie di far ricorso ai prestiti bancari, soprattutto nelle emergenze e imprevisti, risulta fondamentale per il 35 per cento degli Italiani e importante per un altro 54 per cento.

Negli anni è cresciuta fortemente la richiesta degli Italiani che il proprio risparmio sia impiegato nello sviluppo del Paese: lo vuole il 41 per cento contro il 28 per cento del 2009. Il 90 per cento degli Italiani ritiene che nella crisi il risparmio delle famiglie sia stato un fondamentale ammortizzatore sociale, sia a livello di sistema che nell’ambito dei singoli nuclei famigliari. Il 53 per cento pensa che le famiglie risparmino ancora poco (il 31 per cento poco e il 22 persino troppo poco), mentre solo il 34 per cento ritiene che risparmino il giusto; il 10% che risparmino tanto o troppo.

Il 45 per cento degli Italiani non vive tranquillo se non mette da parte dei risparmi e il 43 per certo risparmia solo se questo non comporta troppe rinunce: dati questi abbastanza in linea con lo scorso anno. L’elemento più importante che emerge dalla rilevazione 2013 è invece che, sia pur di poco, cresce la percentuale di Italiani che negli ultimi dodici mesi sono riusciti a risparmiare (passando dal 28% del 2012 al 29%), mentre scendono le famiglie in saldo negativo, dal 31 al 30 per cento. Ed anche la diminuzione delle famiglie in saldo negativo, seppur minima, segna un’inversione di tendenza dal 2010. Costanti al 40 per cento sono le famiglie che consumano tutto quello che guadagnano, senza risparmiare ma al contempo senza intaccare i risparmi accumulati o ricorrendo a prestiti. La fiducia nella propria capacità di risparmio per il futuro, però, è in calo. Combinando capacità attuale di risparmio e prospettive future, si ottengono sei gruppi di famiglie tipo, da cui emerge che quelle che si sentono in crisi di risparmio sono in lieve aumento: sono il 43% contro il 42% del 2012 e il 37% del 2011. (ec)

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