26 agosto 2013 ore: 12:50
Welfare

Crisi e servizi da erogare, il welfare di fronte a una scelta

Sulla rivista Welfare Oggi, diretta da Cristiano Gori, un’analisi del sistema sociale esistente in Italia e le testimonianze degli operatori, spesso posti di fronte alla scelta delle persone da aiutare e costretti a giustificare priorità e mancanza di risorse
Welfare, spesa sociale: montagna di soldi

ROMA - Il tema della scelta a chi erogare servizi/prestazioni economiche sarà un tema cruciale nei prossimi mesi, considerata la situazione economica italiana, che vedrà aumentare la richiesta di intervento e diminuire le risorse a disposizione. Le forbici si allargheranno, ma a quale necessità proveremo a dare un taglio? La rivista Welfare Oggi, diretta da Cristiano Gori, fa un’analisi dell’esistente e prova a dare una risposta a questo quesito. Lo fa descrivendo la situazione in atto e riportando esperienze e considerazioni di chi bel welfare quotidianamente opera.

Afferma Sonia Guarino nell’incipit del suo articolo: “In regime di scarsità di risorse (in assoluto, ma ancor più in questo momento storico), a chi erogare servizi/prestazioni economiche? Fornire a tutti lo stesso servizio, dare una priorità a chi ha un margine di miglioramento, dare a chi sta peggio? In Italia solo un ristretto gruppo di persone beneficia degli interventi di welfare: spesso non hanno una rete sociale di riferimento, vivono sotto la soglia di povertà ed hanno bisogni complessi. Ciò significa che l’ente pubblico, per inserire un anziano in un Centro Diurno Integrato, valuterà il suo bisogno d’assistenza, ma anche la presenza di una rete parentale e la sua capacità economica; probabilmente ci sarà una presa in carico solo nel momento in cui vi sarà una particolare combinazione dei tre elementi: una necessità di assistenza alta, l’assenza di una rete parentale ed un Isee basso. In questi casi probabilmente gli interventi saranno garantiti ai cittadini gratuitamente. Questo mix di condizioni, che non si verifica di rado, assorbe tutte le risorse degli enti, che si trovano costretti di sovente a rinunciare alla funzione preventiva e promozionale dei servizi”.

Il difficile momento della scelta. Allora, “a chi offrire servizi o contributi economici è spesso una questione presente sul tavolo degli amministratori pubblici, ma, considerata la generale complessità della materia e l’esposizione che tali decisioni comporterebbero, difficilmente si è avuta dalla classe politica una risposta chiara ed efficace”. E “senza un quadro preciso di riferimento, la posizione per gli operatori che lavorano all’interno dei servizi pubblici, si rivela sempre più spinosa. Un tema che si pone quindi a due livelli: un livello macro, relativo alle scelte di politica sociale, sia nazionali che locali, ed un livello micro, operativo, che riguarda il case manager nel momento della definizione di un intervento”.


Calo dei finanziamenti. È ormai noto che le politiche sociali e socio sanitarie in Italia negli ultimi anni hanno subito una contrazione dei finanziamenti, contrariamente ad altri Stati europei dove il sistema di welfare appare maggiormente unitario e strutturato. A tale quadro si aggiunge la frammentazione regionale, che caratterizza il sistema di interventi sociali e socio sanitari in Italia.
“Bisogni crescenti, scarsità di risorse e mancanza di norme inequivocabili, che definiscano a chi dare cosa, fanno sì che gli operatori dei servizi (quasi sempre comunali) esercitino un’ampia discrezionalità nel decidere a chi e quali servizi erogare”.

Il ruolo scomodo dell’operatore. Ma se la mancanza di norme e discrezionalità non depongono a favore del cittadino, che non è posto nelle condizioni di sapere quali sono i suoi diritti riconosciuti e che cosa potrebbe/dovrebbe ricevere, in altrettanta situazione critica si viene a trovare l’operatore, che spesso si trova ad affrontare da solo il tema della scelta, avendo di fronte un bacino di utenza, sempre più povera, sempre più anziana, sempre più bisognosa di interventi estremi, alla quale diventa difficile “giustificare” la mancanza di risorse e la necessaria definizione di priorità. E non di rado nascono tensioni fra cittadini che rivendicano diritti ed operatori non in grado di dare risposte”. 

Un welfare “residuale”. Dalle esperienze degli operatori, sollecitati dalla rivista, emerge un quadro di un welfare residuale, “che interviene come possibilità estrema, in situazioni altrettanto estreme e molto compromesse”.
Di fatto, il punto da cui nascono tutte le riflessioni è l’esiguità di risorse economiche a disposizione, che non consentono di organizzare servizi che rispondano anche a bisogni esistenti, ma non gravi e per coloro che possono autonomamente reperirli fuori dal sistema pubblico. “Certo si corre il rischio di far peggiorare le persone in condizioni meno gravi, che domani diventeranno più bisognose – rileva l’autrice dell’articolo -, con necessità (ed un costo) di interventi maggiori. Si delinea così un profilo del servizio pubblico per ‘poveri e disperati’, praticamente incapace di fornire risposte a coloro che hanno bisogni socio-assistenziali o sociosanitari più leggeri, sostegno familiare o informale meno debole e risorse proprie. La prevenzione – si sottolinea - diviene un’idea riposta nel cassetto degli operatori”.

Il sistema dello “scarico”. Non va sottaciuto che la mancanza di un sistema di welfare maggiormente strutturato, il restringersi di altre forme di protezione sociale, sanitaria e socio-sanitaria fanno ricadere sui servizi di base situazioni e bisogni difficilmente affrontabili a livello locale: “La riduzione dei giorni di degenza in ospedale non corrisponde ad una capacità maggiore dei territori (servizi) di riaccogliere pazienti al domicilio che necessitano di cure continue o complesse – conclude la rivista -. E così, ancora una volta, dove non arrivano i servizi, dovranno arrivare le famiglie e le reti informali. È una strategia quella di ‘scaricare’ utenti ad altri servizi, sottraendosi a proprie responsabilità e riducendo la spesa da sostenere. Così non si ottengono maggiori risorse per le politiche sociali, ma un singolo servizio sgrava il proprio budget di un costo, cercando di imputarlo ad altri servizi”.

Leggi l'inchiesta della rivista Welfare Oggi

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