Da 59 anni nel polmone d’acciaio, "dico grazie per ogni respiro"
Giovanna Romanato - Foto di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto
ROMA - Giovanna esce ogni mattina verso le 11 e rientra verso mezzanotte. Esce dal polmone d’acciaio che le consente di respirare da 59 anni e ci rientra per dormire, ormai abituata a quel rumore sordo e costante. Esce per essere trasportata da un elevatore a un metro di distanza, sul suo letto. In una camera piccola, che si allarga incredibilmente per accogliere amici in visita. Aveva dieci anni quando la poliomielite le ha dato come indesiderato compagno di vita il polmone d’acciaio. Con serenità straordinaria la 69enne genovese sta distesa sul letto di giorno, attaccata al respiratore, e di notte nel cilindro metallico persone che l’assistono giorno e notte.
“Le mie giornate non sono mai uguali”, dice con un sorriso, lo sguardo fisso sulla persona che le parla. Nella sua fragilità, appare granitica e in pace con se stessa. E attenta alle vite che incrociano la sua: il polmone d’acciaio e la sua tetraplegia non riempiono i confini del suo mondo. C’è spazio, in quella sua casa genovese al quarto piano senza ascensore, per i giocatori della Sampdoria (di cui è tifosissima) e Lorella Cuccarini, per il suo gatto Fiocco e la signora Teresa, che da 20 anni si prende cura di lei “come una seconda mamma”, dice. A causa del suo diaframma fuori uso, Giovanna ha bisogno di quel macchinario ingombrante per poter respirare. Modello 1963, le è affezionata e lo trova migliore di un nuovo tipo che le avevano proposto: è abituata così, ad avere quel collare con la gomma piuma a tenuta stagna intorno al collo. Ci tiene a farsi pettinare i suoi lunghi capelli ancora castani, chiede di essere truccata con un po’ di rossetto e di ombretto (lo smalto perlato sulle unghie, un must), di indossare maglie color pastello e i suoi anelli. Muove a fatica una sola mano, con cui riesce a scrivere al pc, usare il telefono e anche WhatsApp. Gli occhi vivacissimi e luminosi, sempre. Anche con un filo di voce, come racconta l’intervista pubblicata sul magazine SuperAbile Inail.
Ricorda la prima volta che è entrata nel polmone d’acciaio?
A dieci anni, quando una poliomielite mi ha provocato un’infezione acuta con la paralisi delle gambe e delle braccia, insieme a una gravissima insufficienza respiratoria. Ancora non esisteva il vaccino anti-polio. Mi ricoverarono d’urgenza all’ospedale “Gaslini” e suor Luigia mi disse che mi avrebbero messo nel polmone d’acciaio, rassicurandomi: “Dopo ti sentirai meglio”. Ogni tanto chiedevo a mia madre: “Potrò tornare a correre?”, ma dentro di me sapevo che non sarebbe stato possibile. Me ne rendevo conto da sola, senza bisogno di spiegazioni.
Quali erano i suoi sogni di bambina?
Avrei voluto fare la hostess e la mamma. Sono diventata amica e un po’ madre di tante persone che in questa camera – venendo a trovarmi – si sono incontrate e anche fidanzate, sposate. Ricordo Davide e Stefania, Federico e Mariangela... Ma non è la stessa cosa.
Non si è mai chiesta “perché proprio a me”? Non ha provato ribellione?
Non mi sono mai sentita arrabbiata con Dio, né con gli altri. La mia situazione, al contrario, ha acuito la voglia di vivere e l’amore per la vita. Anche grazie a mia madre Maria, che è stata meravigliosa e si è dedicata completamente a me, fino alla sua morte.
Vorrebbe aver viaggiato?
A Londra ci sono stata sei volte, grazie a un mio amico che mi ha raccontato tutto della città. Anche ad altri amici chiedo di condividere con me i ricordi dei loro tour all’estero, con le parole e con le fotografie. Provo a immedesimarmi negli altri. Poi con Internet posso leggere al computer le e-mail e in tv vedere documentari. Leggo molto e telefono. Il tempo passa velocemente.
Giovanna con Lorella Cuccarini (10/4/2010) |
Delle notizie che vede in tv e che legge, quali la feriscono?
Le guerre: proprio non funzionano. Di politica non me ne intendo, ma anche su quel fronte andiamo molto male. Mi sembra che oggi la gente sia più egoista che in passato. E rimango senza parole davanti ai suicidi: a chi non trova un senso per vivere vorrei dire che ci sono tanti motivi per non togliersi la vita, ma in quei momenti drammatici penso che la persona non riesca a ragionare lucidamente. Con la salute pensi che sia più facile superare i problemi, ma chi ha la salute non se ne rende conto. Poi mi ha colpito l’omicidio del piccolo Loris Stival, morto il 29 novembre 2014 a soli otto anni: non so come si possa far soffrire così un bambino. Soffro nel veder trattare male gli animali, figuriamoci i bambini...
I motivi di gioia nella sua giornata?
Sono felice quando qualcuno viene a trovarmi.
Un momento più difficile di altri?
La morte di mia madre: mi sono sentita persa. E a volte sono preoccupata di non riuscire ad andare avanti con la mia pensione: le spese sono tante. Ho diritto di vivere, come tutti. Se vivessi in ospedale, costerei molto di più alla sanità pubblica.
Oggi che bilancio fa della sua vita?
Non ho mai chiesto un miracolo. Vorrei solo che ci fosse il bene per chi amo. E morire prima del mio Fiocco.
S’intitola “La farfalla nel bozzolo d’acciaio” il volume scritto dal giornalista Enzo Melillo e pubblicato da De Ferrrari (120 pagine, 12 euro). Un libro-intervista a Giovanna Romanato con la prefazione di Lorella Cuccarini e un ampio inserto fotografico, che anzitutto “vuole testimoniare un esempio di vita luminosa nonostante il buio della malattia”, e al tempo stesso aiutare concretamente Giovanna: i diritti d’autore sono devoluti a lei. Per acquistarne una copia, tutte le informazioni su Giovannaromanato.org. (Laura Badaracchi)