Da Romania e Italia una rete per proteggere gli orfani bianchi delle badanti
ROMA - “Almeno così torni a casa”. Così aveva scritto un bambino romeno in una lettera lasciata qualche anno fa alla sua famiglia prima di suicidarsi. C’è spesso proprio il suicidio tra le conseguenze della “Sindrome Italia” che colpisce i figli delle donne emigrate per lavorare come badanti, i cosiddetti orfani bianchi. Un fenomeno spesso taciuto che solo recentemente è stato affrontato dal governo romeno, che dall’agosto scorso obbliga i genitori che si trasferiscono fuori dalla Romania per lavoro, lasciando in patria i bambini, a comunicarlo alle istituzioni per permettere ai servizi sociali di intervenire. Se ne è discusso nel recente incontro “Famiglie distanziate da due realtà: donne romene e i loro figli”, svoltosi ad Albano (Roma) con la collaborazione dell’associazione Spirit Romanesc, invitata dall’assessore Zappieri.
L’immigrazione dei romeni in Italia riguardava inizialmente solo gli uomini, ma negli ultimi anni la richiesta di assistenti familiari ha obbligato sempre più donne a lasciar crescere i loro figli da zie e nonne. Il distacco da un genitore, e in molti casi da entrambi, crea gravi conseguenze ai bambini rimasti in Romania. Depressione, malnutrizione, scarso rendimento scolastico e, in casi non più tanto rari, il suicidio affliggono i piccoli orfani bianchidi età compresa tra i 2 e i 12 anni che rimangono lontani dai genitori. Spesso i bambini si sentono responsabili delle partenze ed è soprattutto quella delle mamme a sconvolgere gli equilibri affettivi. “La migrazione intacca lo stato delle relazioni - spiega Concetta Ricciardi, psicologa di Spirit Romanesc - e bisogna ricontrattare le regole e i ruoli famigliari”.
Credendo di restare in Italia per pochi mesi, molte mamme non spiegano sufficientemente le motivazioni delle partenze ai bambini che vivono così in uno stato di abbandono. Secondo l’Unicef in Romania sono 350 mila quelli che vivono con almeno uno dei genitori lontano da casa. Non bisogna dimenticare che le madri e i padri che partono oggi sono gli stessi che anni fa erano chiamati “i bambini con le chiavi al collo”, ovvero i minori che durante la dittatura romena erano costretti ad accudire i propri fratelli perché i genitori erano obbligati in lunghi orari di lavoro, cresciuti quindi con l’idea che una madre e un padre devono esclusivamente occuparsi del mantenimento dei figli trascurando, in alcuni casi, l’importanza dell’emotività.
Ma se la distanza mina l’integrità del rapporto madre-bambino, è il ricongiungimento, spesso in Italia, a far esplodere le conseguenze del distacco. Come nel caso di Dorina che ha vissuto lontano dalla mamma per diversi anni, obbligata a sentirla solamente per telefono e a domandaele continuamente “Quando torni?”. In questo caso proprio il ricongiungimento è stato il momento più complesso: la bambina ha avuto difficoltà nell’integrazione in Italia e solo con l’aiuto di mediatori culturali è riuscita a spiegarsi lo stato di abbandono che aveva provato.
Ovviamente la “Sindrome Italia” colpisce anche le mamme emigrate che soffrono di solitudine e frustrazione perché costrette a non poter provvedere direttamente alla cura della propria famiglia e contemporaneamente a occuparsi di quella di qualcun altro. La soluzione per alleviare il fenomeno della “Sindrome Italia” sta nella prevenzione. E’ questo che prova a fare l’associazione Spirit Romanesc con il progetto “Nessuno può crescere solo” che tenta di creare dei ponti tra Italia e Romania sensibilizzando sull’argomento e seguendo con centri d’ascolto le situazioni più gravi. L’associazione in questi anni si è occupata sia delle famiglie ricongiunte ma anche, con la collaborazione di cooperative romene, degli orfani bianchi direttamente in Romania.
Fondamentali, in molti casi, le iniziative che cercano di alleggerire il trauma della distanza mettendo in contatto le mamme in Italia con i bambini rimasti in patria tramite Skype. Proprio questa sarà una delle iniziative promosse dal comune di Albano dove, oltre a quella romena, è presente una numerosa comunità Moldava che soffre delle medesime problematiche. (Luca Basiliotti)