Dal caporalato alle aste al ribasso: appello per salvare l'industria del pomodoro
ROMA - Abolire le aste online con il doppio ribasso lanciate dalla Grande distribuzione organizzata, riformare il sistema delle Organizzazioni dei produttori (Op) nel Sud Italia, rendere vincolante il contratto tra produttori e industria, e varare una legge sulla trasparenza che introduca un’etichetta narrante che racconti la vita del pomodoro, dal campo allo scaffale. E’ quanto chiedono Terra! Onlus e l’associazione da Sud che oggi a Roma, presso la Camera dei deputati, hanno presentato il terzo rapporto della campagna #FIlierasporca dal titolo “Spolpati, la crisi dell’industria del pomodoro tra sfruttamento e insostenibilità”. Il dossier è il risultato di un lavoro sul campo che ha richiesto 5 mesi di ricerche tra Puglia, Campania ed Emilia con l’obiettivo di ricostruire il sistema di produzione, trasformazione e commercializzazione del pomodoro.
Con un fatturato di circa 3 miliardi l’anno, il pomodoro da industria rappresenta uno dei principali prodotti dell’agricoltura italiana: ben 5,5 milioni di tonnellate, infatti, sono state prodotte nel 2015. Di queste il 60 per cento è inviato all’estero, mentre il 40 per cento resta in Italia. Dietro Stati uniti e Cina, il nostro paese è il terzo trasformatore mondiale di questo alimento. Un mercato importante su cui non mancano le ombre di cui il caporalato è solo una parte del problema. “Sono numeri giganteschi - ha spiegato il giornalista Stefano Liberti - per una filiera che dovrebbe essere la punta di diamante del made in Italy. Soprattutto nel distretto Sud gli attori che la compongono non hanno reddito, non guadagnano e stiamo assistendo ad una crisi fortissima per tutto il settore”.
Il rapporto mette in evidenza tutti gli elementi di disfunzione della filiera del pomodoro nel Sud Italia, a cominciare dalla raccolta e il problema ormai noto del caporalato. Gli aspetti più preoccupanti e su cui occorre intervenire, dopo la recente approvazione del testo contro il caporalato, riguardano soprattutto il resto della filiera. “Una criticità sostanziale è rappresentata dalle cosiddette organizzazioni dei produttori - spiegano le due organizzazioni -. In gran parte dei casi controllate da ex commercianti e non da reali produttori, dovrebbero svolgere un ruolo di intermediazione tra la parte agricola e quella industriale. Tuttavia, il contratto concluso ogni anno tra le rappresentanze delle Op e quelle degli industriali, nel Sud Italia, non ha alcun valore vincolante. E’ un cosiddetto prezzo di massima. In caso di abbondanza della materia prima, il prezzo di acquisto cala vertiginosamente, come accaduto nel 2015, quando il pomodoro tondo è stato acquisito anche a 6 centesimo al chilo”.
Rispetto al Nord, che “riesce a gestire adeguatamente il settore”, nel Sud Italia “molte organizzazioni servono principalmente a intercettare i fondi europei dei cosiddetti piani operativi mentre non hanno alcun ruolo nella pianificazione agricola, né nella logistica dei trasporti, che resta in capo ai produttori”. Un insieme di questioni che secondo le organizzazioni “sta portando alla scomparsa di un prodotto tipico del Sud Italia, il pelato. Mancando una politica di settore, i produttori e gli industriali dell’Italia meridionale non ne difendono e promuovono il consumo. Di conseguenza la produzione di pelati sta conoscendo un preoccupante calo”.
Non meno preoccupate il ruolo della Grande distribuzione organizzata. “Il tema che a noi ha colpito maggiormente - ha spiegato Fabio Ciconte, direttore di Terra! Onlus - è quello che riguarda la grande distribuzione. Da una parte insiste molto sulle certificazioni etiche, sul farsi dare le carte, dall’altra parte fa uno schiacciamento dei costi che sta raggiungendo dimensioni preoccupanti e su cui dobbiamo urgentemente intervenire”. Le due organizzazioni puntano il dito contro le aste online lanciate da alcuni attori della grande distribuzione per l’acquisto di stock dall’industria. Basandosi su di una prima offerta più bassa, la Gdo chiede un'ulteriore gara al ribasso. “Il sistema delle aste online coinvolge l’industria in un gioco d’azzardo che scarica i suoi effetti distruttivi sugli agricoltori - ha dichiarato Ciconte -. Questo Far west danneggia tutta la filiera e per questo chiediamo alle istituzioni di rivedere un meccanismo gravemente distorsivo del mercato”. La richiesta è semplice, ha aggiunto Ciconte: “Le aste online non devono più esistere. Dobbiamo trovare il modo per interrompere questo meccanismo che non ha nulla di funzionale se costringe gli agricoltori a vendere a prezzi irrisori. E queste aste online avvengono in primavera, quando il pomodoro non è stato ancora raccolto”.
Oltre all’abolizione delle aste online, la riforma del sistema delle Op e del contratto, il rapporto chiede anche più trasparenza, con l’introduzione di una “etichetta narrante” per i prodotti. Si tratta di un’etichetta che secondo le due organizzazioni deve contenere non solo l’origine del prodotto e la data di raccolta e confezionamento. Devono essere indicati anche i dati della ditta responsabile dei trasporti, per fare in modo di favorire le “aziende pulite”, il numero di lavoratori in campo per far emergere il lavoro nero, gli ettari coltivati e il prezzo trasparente, con la scomposizione in percentuale di quanto finisce al distributore, quanto al produttore e via di seguito. Infine anche l’albo dei fornitori che la Gdo deve fornire ai propri clienti. “L’etichetta narrante e l’elenco pubblico dei fornitori sono due strumenti semplici ma di grande efficacia - ha detto Celeste Costantino, deputata di Sel-Si -. L’etichetta narrante non comunica solo l’origine del prodotto, ma tutti i passaggi che compie e avere maggiore trasparenza significa anche avere maggiore consapevolezza da parte dei cittadini. Penso che la costruzione di una società migliore passi soprattutto da strumenti di questa natura. C’è ancora un vuoto su questo, ma è questa la sfida che dobbiamo portare avanti”. (ga)