Dal recupero fisico alla piena integrazione: le storie di riscatto di Tamer e Yusser
ROMA - Tamer (nome di fantasia) è una giovane donna della Guinea, ha 28 anni e nel suo Paese si è laureata in legge. Qualche anno fa, suo padre la obbliga a sposarsi con ricco commerciante di 60 anni ma sua madre si oppone e aiuta Tamer, sua sorella gemella e suo fratello a fuggire. Scappano in Senegal e lì sono costretti a separarsi per continuare il viaggio. Tamer arriva a Roma, fa richiesta di protezione internazionale e per la prima volta viene visitata da un medico del Samifo, il centro di salute per migranti forzati.
La dottoressa le prescrive le analisi del sangue e Tamer scopre di avere il virus dell’Hiv contratto quando da piccola ha dovuto subire la mutilazione genitale. Le viene spiegato che, nonostante la malattia, potrà vivere una vita normale e che in Italia i farmaci sono gratuiti. Potrà anche rimanere incinta, se seguirà le terapie e i consigli del medico. Dopo due anni, Tamer ha ottenuto la protezione umanitaria e oggi aspetta un bambino.
La rete di Samifo ha cambiato la sua prospettiva di vita. Il centro è nato nel 2006 in collaborazione tra l’Azienda Usl Roma e l’Associazione Centro Astalli e ha come obiettivo l’assistenza e la cura temporanea dei richiedenti e titolari di protezione internazionale, per un periodo non superiore a 24 mesi. Il servizio è diventato con gli anni un punto di riferimento per i migranti vittime di violenze di ogni tipo. In sette anni sono stati assistite 9 mila persone e sono state effettuate 38 mila visite di medicina generale e 25 mila visite specialistiche.
Come Tamer, anche Yusser (nome di fantasia), 52 anni, è arrivato a Roma scappando dal suo Paese. Figlio di un pastore cristiano avventista, in Etiopia lavorava come interprete e mediatore tra medici europei e pazienti locali. La sua famiglia viene però perseguitata per motivi religiosi, la chiesa di suo padre viene chiusa e lui dopo un breve periodo in carcere, decide di partire per l’Italia. Arriva nella Capitale ed entra in contatto con il Centro Astalli. Chiede il riconoscimento dello status di rifugiato ma improvvisamente si allontana dal centro e quando ritorna è trasformato: parla da solo, si isola, comincia a vivere per strada e sviluppa dei sintomi psicotici sempre più gravi. Da allora Yusser diventa un senzatetto, indossa più cappotti uno sopra l’altro anche in piena estate e frequenta la Caritas o il Centro Astalli solo per mangiare. Uno psichiatra volontario cerca di aiutarlo senza risultato. Nel 2013 gli operatori del centro Samifo decidono di tentare una strada di cura attraverso un ricovero forzato in ospedale. Nonostante le resistenze iniziali di Yusser e la diffidenza del Pronto Soccorso che lo considera irrecuperabile, lo psichiatra e i medici non demordono. Lo lavano, lo vestono e riescono a farlo ricoverare. Piano piano Yusser si riappropria della sua vita. Viene accolto da una comunità di suore e a marzo ottiene lo status di rifugiato. Ogni mercoledì si reca al Samifo per incontrare gli psichiatri, segue regolarmente una terapia psicofarmacologica e ha cominciato a suonare il pianoforte. Una storia a lieto fine grazie agli operatori che sono andati incontro a chi ne aveva bisogno senza aspettare una richiesta di aiuto.
Pur essendo un servizio medico, il centro Samifo aiuta i migranti anche nel percorso di integrazione sociale, come dimostrano le storie di Ahmed e Nurullah (nomi di fantasia), due minori afghani. Sono stati segnalati al centro dall’associazione “Medici contro la Tortura” nel 2013. Entrambi avevano dei disturbi post-traumatici associati a un disturbo depressivo. Non potendo accedere ai centri di accoglienza, gli operatori del Samifo li hanno inseriti in una casa di accoglienza in semiautonomia gestita da un’associazione di volontariato. Hanno iniziato, così, a studiare e a seguire tirocini formativi. Oggi Ahmed lavora in una azienda agricola e Nurullah in una panetteria.