Dall'Afghanistan all'Italia, la storia di Lal Mohammad Niazi
Lal Mohammad Niazi, semplicemente Niazi per gli amici, e' un giovane ragazzo afgano immigrato a Catania nel 2009. Oggi, Lal Mohammad ha 32 anni e lavora come interprete su tutto il territorio nazionale, per il centro Informazione e Educazione allo Sviluppo. Ha una casa, una normale vita sociale e da poco piu' di un anno ha potuto riabbracciare la moglie Fawzia ed i figli Sharifullah, 10 anni, e Ikramullah, 11 anni che, dall'Afghanistan, si sono trasferiti in Italia e vivono con lui.
La storia a lieto fine di Niazi e' un bellissimo esempio di inclusione, dietro cui tuttavia si nascondono vicende di morte, di paura, di sofferenza, di spirito di sacrificio e di tanta forza di volonta'.
"Sono arrivato in Italia nell'ottobre del 2009,- racconta Lal Mohammad Niazi all'agenzia Dire- avevo 23 anni ed ero perseguitato dai talebani, non potevo piu' rimanere in Afghanistan". Tutto ha avuto inizio qualche anno prima, quando i talebani volevano appropriarsi dei terreni privati del padre di Lal e l'uomo aveva rifiutato: "Vengo dalla campagna- spiega Lal alla Dire- coltivavamo di tutto. I talebani volevano mettere le mani sui nostri terreni ed una sera, mentre mio padre irrigava le coltivazioni, lo hanno fanno saltare in aria con una bomba. Io e mia madre siamo accorsi in giardino ed abbiamo trovato mio padre agonizzante in un lago di sangue. La corsa in ospedale e' stata inutile, mio padre e' morto tra le nostre braccia".
I talebani hanno preso di mira Niazi che, scappando a Kabul, aveva trovato rifugio a casa di uno zio materno. Il ragazzo temeva per la propria vita e per le possibili ritorsioni sulla sua famiglia. Che cosa e' successo dopo? "Mio zio conosceva un trafficante che, in cambio di 10mila dollari, mi avrebbe fatto fuggire in Europa. Non avevo alternative ed ho accetto. Ho attraversato l'Afghanistan con un gruppo di 35 persone. A volte ci spostavamo a piedi, altre volte con i mezzi. Siamo entrati in Iran ammassati in un furgone. Non si respirava li' dentro, eravamo sudati, ci sentivamo male. Ad ogni citta' passavamo nelle mani di un altro trafficante, dormivamo nelle stalle per nasconderci dalle autorita' iraniane. Dall'Iran ci hanno portato in Turchia. Poco prima di arrivare ad Istanbul ci hanno fornito i passaporti falsi ed abiti occidentali, ma non siamo riusciti ad arrivare ad Istanbul, la polizia turca ci ha scoperti e ci ha arrestati. Siamo stati in carcere per tre mesi e siamo stati rispediti in Iran, nelle mani della polizia iraniana. I poliziotti ci picchiavano e non ci davano cibo a sufficienza. Ci hanno rimpatriato al confine con l'Afghanistan e da li', di nuovo in contatto con i trafficanti, ho ripreso il viaggio. I possibili rimpatrii sono inclusi nel prezzo pagato all'inizio, fino a quando non si arriva a destinazione. Sono stato rimpatriato due volte prima di raggiungere la Grecia".
La scelta dell'Italia e' stata successiva: "In Grecia, le condizioni per ottenere asilo sono difficilissime ed ho deciso, sempre come clandestino, di raggiungere Ancona. In Italia ho incontrato gente meravigliosa che mi ha aiutato e da cui sono sempre stato accolto bene. A Catania, grazie al Centro Astalli per l'assistenza agli immigrati ho chiesto asilo, ho studiato l'italiano, ho trovato lavoro. Ho fatto di tutto, dal contadino al badante. Una famiglia presso cui ho lavorato mi ha aiutato a prendere la licenza media, il diploma all'alberghiero e la patente di guida. I miei figli si sono ambientati benissimo, sono supercontenti, a scuola si trovano molto bene, sono entrambi sordomuti e nel pomeriggio frequentano un centro specializzato catanese per chi e' affetto da sordomutismo".
"I catanesi, i siciliani in generale, sono molto accoglienti- prosegue- solo negli ultimi mesi mi e' capitato per ben tre volte di trovare le ruote tagliate della mia automobile. Non so chi sia stato, posso solo ipotizzare che sia accaduto perche' sono straniero". (DIRE)