17 giugno 2019 ore: 15:10
Immigrazione

Dalla Libia al Niger: quando l’arrivo in Europa resta un miraggio

di Alberto Guariso
In base a un progetto di resettlement dell’Unhcr, 3 mila migranti sono stati evacuati dalla Libia e trasferiti in Niger. Ma solo 1500 sono stati redistribuiti. Gli altri aspettano invano
Migranti in fila, si vedono solo i piedi

Niamey è in gran parte più un cantiere che una città. A dispetto del caldo insopportabile si lavora  di gran lena e apparentemente con risultati:  il moderno aeroporto pulitissimo e efficiente che ti accoglie è in funzione da pochi mesi e verso la città ti conduce una superstrada illuminata e solcata nel mezzo da un collegamento ferroviario in costruzione che forse ricorderà  (quando sarà ultimato) il Malpensa Express. Poi,  entrati in città la sera tardi, qua e là ragazzi e anziani stendono per terra qualche cartone per passare la notte per strada e torna la consapevolezza di essere in un paese dove il Pil nominale pro capite è poco piu di 400 dollari annui, tra i più bassi del mondo. Viste da qui le discussioni nostrane sull’immigrazione appaiono in tutta la loro dimensione di drammatica farsa. Siamo qui dove la partita della migrazione nordafricana dovrebbe giocarsi secondo le precarie regole che Stati e organizzazioni stanno cercando di elaborare, mentre a 950 chilometri da qua, ad Agadez continua a giocarsi l’altra partita, quella  dei camion sovraccarichi di chi tenta la traversata del deserto, resa ancora più pericolosa dagli aumentati controlli di polizia,  che costringono a deviazioni  di centinaia di chilometri. E siamo qui in un piccolo gruppo di avvocati Asgi per monitorare il funzionamento del programma di resettlement dalla Libia.

Evacuare la Libia si può 

Già questo, nei nostri talk show televisivi, sarebbe una notizia: evacuare la Libia si può; dal disastro umano dei centri di detenzione libici qualcuno (qualche centinaia di persone) si muove verso nord con i corridoi umanitari, altri - qualche migliaio - si muovono verso sud con il progetto Etm (emergency transit mechanism) gestito da Unhcr e al quale il Niger ha aderito. Certo è come svuotare l’oceano con un cucchiaino: e se ministri e sottosegretari nostrani sedutisi al tavolo con i “sindaci” libici (come si usava dire ai tempi di Minniti) avessero alzato un po’ di più la voce,  forse le cose sarebbero andate diversamente. E invece è andata così:  dalla Libia sono state evacuate poco meno di 3 mila persone (eritrei, etiopi e somali, sudanesi del Sud; nulla per le altre nazionalità) tutte trasferite in Niger con il miraggio di una ridistribuzione tra i paese Ue dichiaratisi volontariamente disponibili (e l’Italia non è tra questi). Ma le procedure sono andate incredibilmente per le lunghe e la disponibilità degli Stati ad accogliere le persone man mano evacuate è stata ancora più ridotta di quel poco che ci si aspettava.

Mercato dell'accoglienza

Così, solo la metà dei 3 mila è stata davvero reinsediata nei paesi europei sulla base di un parere favorevole dell’Unhcr e di un riconoscimento dello status di rifugiato da parte della apposita Commissione nigerina.  Gli altri vivono,  chi da un anno, chi da quasi due, in una situazione surreale, alla cui determinazione concorrono talvolta il parere negativo dell’Unhcr (che esclude di per sé la possibilità di entrare nella procedura di resettlement);  talvolta la decisione negativa di una commissione nigerina che i richiedenti non hanno neppure incontrato e che motiva in non più di due parole  (“racconto incoerente”);  talvolta (ed è il caso più  frequente) semplicemente il nulla e l’attesa snervante che qualcosa prima o poi accada. Con l’aggravante – che sul piano psicologico sarebbe in grado di distruggere anche i più forti - di vedere che altri evacuati successivamente “passano avanti” e partono verso l’Europa, sulla base di una sorta di misteriosa graduatoria dove i privilegiati – la disponibilità degli Stati europei è ovviamente su base volontaria e i francesi, ad esempio, fanno direttamente i colloqui qui e procedono alla scelta del migrante gradito in una specie di mercato dell’accoglienza – sembrano essere i più giovani, mentre le persone di mezza età (con i criteri africani,  i 35/40 enni) sono lasciate indietro, specie quelli marchiati da molti anni di svolgimento del servizio militare che induce il sospetto della troppa dimestichezza con le armi.

Le storie che sentiamo non sono molto diverse da quelle che sentiamo in Italia: persone che da quasi dieci anni vagano per tutti i paesi del nord africa,  Eritrea, Etiopia, Sudan, Somalia,  qualcuno fino al Sinai dove nell’indifferenza dei paesi occidentali operano le bande di trafficanti più crudeli, quelle che lavorano anche sul traffico di organi; e poi “finalmente” l’arrivo in Libia e da lì il tentativo della traversata non riuscita: qualcuno bloccato proprio all’ultimo sulla spiaggia,  qualcuno ripreso dopo 10 ore di viaggio in gommone,  quando probabilmente erano più vicini a Lampedusa che alla Libia. E poi la peregrinazione da un campo all’altro fino alla visita del rappresentante Unhcr che raccoglie le “disponibilità” (obbligate) all’evacuazione verso il Niger, nella speranza da lì di arrivare in Europa per una via sicura.

La differenza con le storie raccolte in Italia è che questa è una nuova prigione: quando gli chiediamo cosa hanno fatto in questi uno/due anni, se hanno potuto fare qualche lavoretto o che altro, rispondono con un sorriso amaro che qui “non c’è nulla da fare”,  neppure per i nigerini, figuriamoci per loro. Qualcuno ha avuto  finora un alloggio a gruppi di qualche decina  a Niamey e un modesto vitto garantito dalle Ong che fanno parte del progetto,  ma pare che a breve tutti saranno concentrati in un campo a 40 chilometri da qui, in pieno deserto, senza nulla da fare che continuare l’attesa. Attesa del nulla, peraltro, perché per i non prescelti è ormai chiaro che non vi sarà possibilità di entrare nel programma di resettlement.

I condannati all'attesa

I condannati all’attesa si sono un po’ organizzati: hanno scritto un documento fitto di informazioni e chiarissimo,  inviato all’ambasciatore degli Stati Uniti e all’Unhcr per denunciare la loro condizione e chiedere che succeda qualcosa.  Hanno anche tentato una manifestazione, subito dispersa dalla polizia. Tra loro anche persone con gravi problemi psicologici e fisici, che erano state evacuate dalla Libia proprio per la loro condizione di fragilità. Ma nessuno “se li è presi” e anche loro sono bloccati sotto i 40 gradi del Niger. Il meccanismo di evacuazione insomma nasceva sull’idea che gli evacuati “verso Sud”  avrebbero avuto riconoscimento dello status già fuori dei confini   (cioè l’aspirazione della politica italiana, che persegue il miraggio un po’ assurdo di eliminare la figura del richiedente asilo sul suolo italiano),  disponibilità degli Stati europei,  passaggio sicuro verso l’Europa. Ma le questioni sono complicate. Meglio lasciarle perdere. Vuoi mettere come è più rilassante prendersela con quelli che non capiscono il “bisogno di sicurezza” degli italiani?


* Avvocato dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione
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