Dalle mutilazioni genitali agli aborti selettivi, le "ferite" delle donne
Il viaggio inizia con il sorriso di Hope, donna nigeriana, trafficata e abusata, che riesce finalmente a coronare il sogno di stabilità in Italia sposando Antonio, un uomo molto più grande di lei. E continua con la sofferenza di Agnése, la ricerca di verità di Angela, le torture di Paola, la tenacia di Nice e i volti e le storie di tante altre donne. Donne vittime di abusi, ingiustizie e discriminazioni, ma mai sconfitte. E’ un vero e proprio viaggio nel profondo delle ferite aperte del mondo femminile l’ultimo libro di Emanuela Zuccalà, “Donne che vorresti conoscere” (Infinito edizioni). Una raccolta di brevi storie di donne incontrate in diverse parti del mondo, durante la sua carriera di giornalista per Io donna.
E così, tra le pagine del libro troviamo la tenace battaglia di Nice, giovane donna Masai, che è riuscita a salvare dalla pratica della mutilazione genitale 621 donne dei distretti rurali, solo nel 2013. La sua difficile lotta contro questa pratica brutale, che in Kenya riguarda il 27 per cento della popolazione, e a favore dell’istruzione, “l’autentica iniziazione all’età adulta”, si affianca a quella delle donne che nella Repubblica ceca ancora oggi si battono contro la pratica della sterilizzazione forzata per le donne rom a Ostrava, che “non è solo una ferita alla persona e una menomazione della femminilità” ma anche “un’offesa alla tradizione, una schiaffo alla loro storia”. Non mancano neanche storie tutte italiane, come quella di Angela, che chiede verità e giustizia per il figlio Attilio Manca, medico, morto di overdose secondo gli inquirenti, ma ucciso dalla mafia secondo la famiglia, per aver operato in segreto Bernardo Provenzano in una clinica di Marsiglia. Dopo essere riuscita a far riaprire il caso, ancora oggi Angela aspetta di sapere perché quel figlio “pieno di vita” è morto in circostanze misteriose, proprio quando era al culmine della sua carriera: “Io continuerò a combattere – spiega - ma non nascondo che questa battaglia mi sta distruggendo”.
Nel libro non poteva mancare, inoltre, il racconto delle torture subite dalle donne saharawi, che Zuccalà ha approfondito anche nel documentario “Solo per farti sapere che sono viva” realizzato insieme alla fotografa Simona Ghizzoni. E’ Elghalia Dijmi, vicepresidente dell’associazione di vittime Asvdh e donna simbolo della resistenza non violenta, a raccontare le atrocità subite durante i tre anni e sette mesi trascorsi nelle prigioni segrete del re marocchino Hassan II. “Quando ho visto le foto degli orrori del carcere di Abu Ghraib, in Iraq, ho rivissuto la mia storia - racconta -. In carcere mi hanno torturata con fili elettrici e fatta sfilare nuda davanti ai gendarmi. Il 19 giugno del 1991 ero libera, ma fino a pochi anni fa ci è stato impedito di riferire al mondo le nostre storie”. Storie di atroci barbarie come gli stupri usati come arma di guerra in Congo e di chi lavora per ricucire almeno le ferite esterne, di quella che è una vera e proprio guerra combattuta sui copri delle donne.
Vale la pena davvero conoscere queste donne e le loro storie, come recita il titolo del libro, per capire quanto cammino c’è ancora da fare sulla strada dei diritti quando si parla di questione femminile. Da questo punto di vista il libro è anche profondamente femminista, nel senso più puro e originale del termine, perché non cerca di impietosire il lettore con il racconto di storie tragiche. Ma parla di donne che combattono non solo per se stesse, ma anche per altre donne, contro quelle ingiustizie e prevaricazioni che ancora oggi sono indissolubilmente legate solo a una questione di genere. “Le protagoniste di questo libro sono voci fuori dal coro – spiega l’autrice – tutte hanno osato dire no a qualcosa che rientra in quella subalternità femminile che va sradicata in nome dei diritti dell’umanità intera. Hope, Meriem, Elghalia Angela, Helena e le altre hanno detto no alla violenza, alla morte sociale che le stava annientando dopo uno stupro, alla mentalità arretrata del loro contesto, a destini di sfruttamento che sembravano già scritti. Sono autrici di gesti eroici, alcuni minimali, alcuni immensi, che ai miei occhi rendono speciali i loro vissuti aprendo una finestra su porzioni del mondo esteriore e interiore”. (ec)