16 giugno 2017 ore: 17:00
Giustizia

Detenute portano in scena uno spettacolo ispirato a lady Macbeth

Dopo otto anni di laboratori in carcere, nella sezione maschile della Casa circondariale di Bologna, Paolo Billi del Teatro del Pratello approda tra le detenute. "Un nuovo inizio per me", dice il regista

BOLOGNA – Dopo 8 anni di laboratori in carcere, nella sezione maschile della Casa circondariale di Bologna, Paolo Billi del Teatro del Pratello approda tra le detenute. “Un nuovo inizio per me”, dice il regista. Alla proposta hanno risposto in tante, 28, poi si sono ridotte a 14/15, con una decina di compagne a fare da “spettatrici” alle prove. Nove quelle che porteranno in scena lo spettacolo che ne è risultato, “Mère Ubu Varieté”, il prossimo 21 giugno alle 14 nella sala teatro del carcere. “Abbiamo iniziato con un laboratorio di scrittura su alcuni temi, cercando di andare oltre certi luoghi comuni – spiega Billi – Ne è uscito un lavoro ironico e cattivo, contro il pubblico, contro il voyeurismo degli spettatori del teatro carcere. Un varietà con diversi numeri che riparte dall’archetipo di Mère Ubu ovvero Lady Macbeth, con citazioni di Alfred Jarry e William Shakespeare”. I numeri sono accompagnati dalle musiche composte dagli studenti della Scuola di musica applicata del Conservatorio di Bologna diretta dal maestro Aurelio Zarrelli. “Questo è un primo studio, l’obiettivo – prosegue Billi – è che per lo spettacolo definitivo, previsto per l’anno prossimo, le musiche saranno eseguite dal vivo”. La rappresentazione del 21 giugno in Dozza è riservata a un pubblico di operatori e studenti di Scienze della formazione e del Conservatorio, ma lo spettacolo definitivo sarà aperto al pubblico. 

Una sperimentazione. Massimo Ziccone, responsabile dell’area educativa della Dozza, definisce così la scelta di realizzare un laboratorio teatrale nella sezione femminile della Casa circondariale. Al momento sono 77 le detenute presenti (il 10% del totale della popolazione carceraria), in gran parte italiane, tra i 25 e i 45 anni. “L’obiettivo è dare alle detenute l’opportunità di una svolta – spiega – Per molte era la prima volta non solo di teatro ma anche di lavoro o studio. È la novità che introduce i cambiamenti, per questo proponiamo loro attività diverse da quelle che hanno sempre fatto”. L’idea del laboratorio di teatro non è quella di un’attività ricreativa, per passare del tempo, “ma un’attività con un valenza artistica, che può essere professionalizzante per chi partecipa”, aggiunge Ziccone che sottolinea anche l’importanza di portare il mondo esterno dentro al carcere. “Per fare risocializzazione è fondamentale stare dentro la società – dice – In carcere la società non c’è, ma c’è segregato il pezzo di società che ha sbagliato. Senza l’ingresso del mondo esterno, non ci può essere recupero sociale né abbattimento della recidiva”. Le 9 detenute protagoniste dello spettacolo sono di origine italiana (5), sudamericana (2), africana (1), araba (1) e hanno tra i 30 e i 40 anni. “È uno dei gruppi che si è messo più in gioco, quasi come i ragazzi del Minorile – dice Billi – Dopo i primi 2 incontri di diffidenza, si sono sciolte e c’è stata da parte loro un’assunzione di responsabilità. Non hanno avuto paura e hanno colto un’occasione”. 

Lo spettacolo “Mère Ubu Varieté” fa parte del progetto “Stanze di teatro in carcere” del Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna che, per il trienio 2016/2018 è dedicato a “Le patafisiche” ovvero l’opera di Alfred Jarry e le correnti artistiche, filosofiche, metafisiche da essa derivate. Sei gli spettacoli previsti in questa settima edizione con il coinvolgimento dei detenuti di 7 istituti penitenziari. Dopo Forlì lo scorso 14 giugno con “Menu Ubu: un cuore così bianco” con gli attori detenuti della Casa circondariale e gli allievi del Liceo classico Vincenzo Monti di Cesena e la messa in scena di Sabina Spazzoli, ci si sposta a Parma il 19 giugno con “Punch/Ubu e il passator cortese” di Corrado Vecchi e Stefano Giunchi con i detenuti della sezione circondariale. “Ogni regista ha affrontato il tema delle patafisiche in modo personale – ha spiegato Cristina Valenti, consulente scientifico del Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna – Nel caso di Parma il lavoro su Ubu si ricollega alle sue radici originarie dato che Vecchi è un burattinaio”. Il 21 giugno c’è Bologna e poi il 23 settembre “Orfeo e Euridice (con in mezzo Ubu)” con gli attori detenuti della sezione maschile della Casa circondariale di Ravenna e gli allievi del Liceo classico Dante Alighieri per la regia di Eugenio Sideri e Mario Battaglia. Il 28 settembre a Ferrara c’è “L’inarrestabile ascesa degli Ubu” con gli attori detenuti della sezione penale maschile e gli allievi del Liceo Ariosto per la regia di Horacio Czertok. In ottobre/novembre (la data è ancora da definire) a Modena andrà in scena “Ubu re” con gli attori detenuti e internati della Casa circondariale di Modena e della Casa di reclusione di Castelfranco Emilia per la regia di Stefano Tè. “I registi hanno incontrato i detenuti liberandosi dal pregiudizio che porta a oggettivare il detenuto con la sua storia criminale – aggiunge Valenti – Se così non fosse, se la storia criminale non venisse messa da parte, non sarebbe possibile parlare di teatro, parleremmo di trattamento terapeutico. In questo caso, invece, l’obiettivo è una trasformazione sotto il segno dell’arte”. (lp)

© Riproduzione riservata Ricevi la Newsletter gratuita Home Page Scegli il tuo abbonamento Leggi le ultime news