20 febbraio 2016 ore: 10:55
Giustizia

Detenuti dipendenti, Stati generali: ridurre gli ingressi in carcere

STATI GENERALI. Le proposte degli esperti. Politiche sociali, riduzione degli ingressi, kit con materiale sterile e indicazioni internazionali per la prevenzione di overdose e Hiv, misure alternative in automatico e un protocollo che faciliti il rientro nella società, tra le indicazioni in primo piano
Carcere, agente penitenziario apre corridoio

ROMA – “Tossicodipendenza e carcere non si coniugano” perché il carcere “acuisce in modo esponenziale i problemi dell’individuo” incidendo “ancora di più su un’interiorità e un’esistenza già provate e accentuando il tasso di recidiva di chi vi sconta la pena, al contrario di chi usufruisce delle misure alternative”. Parte con questa premessa, in tema di dipendenze e carcere, il lavoro del Tavolo 4 degli Stati generali sull’esecuzione penale chiamato a riunirsi su: “Minorità sociale, vulnerabilità e dipendenze”. In primo piano tra le proposte: ricorrere al carcere solo per casi eccezionali, rendere automatico il ricorso alle misure alternative, incrementare la prevenzione per Hiv e overdose, allineare le alternative terapeutiche agli interventi sul territorio, predisporre tavoli permanenti interistituzionali e un protocollo che raccolga i dati utili sui detenuti a fine pena per agevolare il reinserimento.

Carcere, mani giunte che escono da sbarre

Il rapporto finale degli esperti, coordinati da Emanuele Bignamini, direttore del Dipartimento dipendenze Asl 2 di Torino, è disponibile sul sito del ministero della Giustizia insieme agli altri 17 report e tutto il materiale è ora sottoposto a consultazione popolare. Da qualche giorno è attiva una casella di posta elettronica per raccogliere suggerimenti e rilievi sulle relazioni: statigenerali.consultazione@giustizia.it. I messaggi non devono superare i 2 mila caratteri (spazi inclusi) e non è possibile inviare allegati.

Azione sinergica. Riconoscendo al carcere il merito di “intercettare un numero rilevante di persone tossicodipendenti che non hanno mai avuto accesso ai Servizi”, il Tavolo chiama in causa tutte le forze in campo: “giustizia, sanità, servizi sociali, volontariato e terzo settore”, sottolineando la necessità di investire tempo e risorse per arrivare a una visione sociale condivisa, attraverso processi culturali e formativi. Da qui la proposta di prevedere “risorse comuni, anche finanziarie, interministeriali e tra enti diversi, finalizzate alla gestione pratica dei casi multiproblematici. La popolazione tossicodipendente in carcere – spiegano gli esperti - comprende fasce particolarmente marginali e problematiche: persone che vivono uno stato di svantaggio, disagio o marginalità e per le quali, più che una risposta carceraria, sarebbero opportune politiche sociali”.

Il detenuto dipendente “ha accesso al circuito penitenziario non perché abbia coscientemente scelto la strada del crimine, ma solo perché non ha possibilità di accedere alle risorse che in un welfare funzionante dovrebbero essere garantite a tutti”. Un problema che assume dimensioni ancora più eclatanti per gli stranieri senza permesso di soggiorno “che non riescono ad accedere ai benefici, anche quando ne hanno diritto, perché non sono nelle condizioni di proporre una progettualità terapeutica” e di indicare un adeguato domicilio esterno.

Le proposte. Riduzione degli ingressi in carcere. Depenalizzazione completa di tutte le condotte riferibili all’ambito del consumo (cessione gratuita e coltivazione a uso personale). Riduzione delle pene per le condotte riferite allo spaccio e al traffico. Ricorso al carcere solo per casi eccezionali. “Riallineamento” dell’affidamento terapeutico a quello ordinario e integrazione dell’affidamento terapeutico con programmi speciali di reintegrazione sociale. Introduzione di un programma speciale di messa alla prova per soggetti con problemi di abuso/dipendenza da sostanze. Definizione del diritto certo degli stranieri alle alternative terapeutiche.

Misure alternative automatiche. “L’accesso alle misure alternative alla detenzione, che dovrebbero essere misure di tutela della salute, avviene ora su richiesta del singolo e l’esito della richiesta è difforme e spesso incerto”. Da qui il passaggio alle misure alternative in automatico, “in quanto tutelano un diritto alla salute e un interesse della collettività”.

Overdose e Hiv: incrementare la prevenzione. “Rimane alto il fenomeno delle overdosi, spesso a esito fatale, per le persone dipendenti da eroina dimesse dal carcere. Questo grave problema è legato anche all’insufficiente copertura metadonica e alla difficoltà di mantenere la continuità della cura “dentro-fuori” il carcere. Per ciò che riguarda la prevenzione dell’Hiv, è stato di recente elaborato un pacchetto di interventi dalle principali agenzie delle Nazioni Unite, non ancora applicati in Italia.
Il Tavolo propone di recepire le indicazioni internazionali, “riconoscendo pragmaticamente la realtà delle carceri italiani”. In particolare: “predisporre linee guida per la prevenzione delle overdosi”, allineando la copertura dei programmi relativi al metadone in carcere a quella sul territorio, seguendo le indicazioni della letteratura internazionale. Si chiede inoltre di applicare il pacchetto di interventi di prevenzione Hiv “compresa l’indicazione di rendere disponibile in forma confidenziale il materiale sterile per iniezione ai consumatori di droghe”.

Allineare le alternative terapeutiche agli interventi sul territorio. Promuovere programmi più articolati, con un ventaglio di obiettivi nelle diverse aree di vita e con più ampio ricorso a misure di sostegno/reinserimento sociale: istituire tavoli di confronto fra operatori della giustizia, operatori sociali e delle dipendenze, per discutere le linee dei programmi, l’integrazione fra le diverse competenze, a partire da un confronto sui modelli culturali che stanno a monte dei programmi stessi. Definire accordi fra SerD e Magistratura di sorveglianza sull’esempio di Milano, in modo che siano riconosciuti due tipi di diagnosi: un modello A, che riguarda la tossicodipendenza diagnosticata al momento dell’ingresso in carcere, e un modello B, che tiene conto della storia della persona e del quadro criminologico.

Un protocollo per il reinserimento. “La predisposizione di un protocollo di dimissione che sia in grado di raccogliere dati utili per tracciare i punti di forza e di debolezza delle biografie di ogni detenuto in dimissione e l’applicazione sistematica nel periodo precedente alla scarcerazione, consentirebbe di programmare le misure utili per attenuare l’impatto dell’uscita sin dall’applicazione del protocollo a livello nazionale. Il Protocollo dimittendi può essere applicato stabilmente amministrativamente o attraverso una previsione normativa specifica che integri, coordini e rinforzi le attuali norme”. (Teresa Valiani)

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