Didattica a distanza e assistenti a domicilio: la proposta dei caregiver per l'inclusione
ROMA – Le scuole sono (ancora) aperte, ma la didattica per tanti è a distanza: tra alunni in quarantena e studenti delle scuole superiori, si moltiplicano i device accesi nelle case e collegati con professori e compagni fisicamente lontano che tornano a incontrarsi solo nello schermo. Quanto questo sia frustrane e perfino pericoloso per tanti, lo dicono esperti e studiosi; quanto sia impossibile e impraticabile per chi ha una disabilità, ce lo racconta Claudia Cecchini, mamma di tre figli, residente a Roma e tra le promotrici e “attiviste” del gruppo “Caregiver familiari comma 255”.
Stamattina, mentre parliamo, nell'altra stanza ci sono i due figli maggiori, che in quanto studenti delle scuole superiori seguono le lezioni per lo più online. In casa c'è anche il marito, “smart worker” da marzo e fino a qualche giorno fa c'era anche il più piccolo della famiglia, che frequenta la seconda media ed appena uscito dalla quarantena.
“Il più piccolo ha un disturbo specifico dell'apprendimento: nella didattica a distanza non è autonomo, può partecipare solo s qualcuno lo affianca. E quel qualcuno sono io”, ci spiega Claudia. Il secondo, che ha 15 anni e frequenta un istituto tecnico, ha la sindrome di Down e un grave deficit comportamentale. La scuola per lui è ormai al 75% a distanza ed è evidente che da solo non può partecipare. In più da marzo è stata sospesa l'assistenza domiciliare e la terapia cognitivo comportamentale domiciliare. Lo sport che aveva da poco ripreso è stato di nuovo sospeso...football con l'Asd legio XIII. Entrambe attività colpite dall'ultimo decreto. Cosi io mi ritrovo ora a dover organizzare l'intera giornata di mio figlio: non solo devo supportarlo la mattina, nella didattica a distanza, ma devo anche pensare a come riempire i suoi pomeriggi, in assenza di qualsiasi supporto”. E senza dimenticare il maggiore, che frequenta il quarto anno di liceo Scientifico e “si sente spesso demotivato, perché senza scuola non incontra più i suoi compagni, si trova a trascorrere tante ore a casa e, a 17 anni, ha una vita sociale inadeguata alle sue esigenze e ai suoi desideri”.
Una situazione complicata, non c'è dubbio, ma come risolverla, nel momento in cui l'emergenza torna così drammaticamente alta e la scelta della didattica a distanza sembra ormai compiuta? “La soluzione esiste e consiste nello spostamento degli assistenti dalla scuola al domicilio – ci dice Claudia – E' un possibilità contemplata e chiaramente indicata nel Piano scuola ma che le regioni, nella loro autonomia, non stanno attuando, ad eccezione di qualcuna, come la Sicilia. Non si può ripetere però quanto accaduto da marzo a giugno, quando noi genitori caregiver ci siamo ritrovati a diventare anche insegnanti, tutor, assistenti. Allora, da ogni parte abbiamo levato il nostro grido d'allarme e la ministra Azzolina, durante l'estate, aveva assicurato che una soluzione si sarebbe trovata, perché anche gli studenti con disabilità e disturbi potessero fruire della didattica distanza in autonomia, qualora questa fosse tornata ad essere necessaria. In effetti il Piano scuola prevede la domiciliarizzazione degli assistenti, la cui funzione è diversa da quella degli insegnanti di sostegno. Questi ultimi sono insegnanti della classe, mentre i primi sono ad personam ed è previsto quindi che seguano lo studente anche in posti diversi dalla scuola, per esempio in gita o nelle uscite scolastiche. E allora, perché non a casa? Lo chiedo a tutte le regioni che non stanno mettendo in pratica questa possibilità, di fatto impedendo così ai nostri figli di fruire della didattica a distanza in autonomia. Quello che accade, in questi giorni, è che professionisti specializzati nello sviluppo delle autonomie e capaci di costruire e garantire inclusione e partecipazione anche in una didattica da remoto, siano ridotti a spettatori passivi, con studenti disabili da soli a casa, davanti a un monitor chi ci riesce, con tutte le loro difficoltà”:
A scuola senza compagni? No, grazie
Anziché percorrere questa strada, invece, “le ordinanze delle regioni prevedono che i soli studenti con disabilità possono sempre andare a scuola, qualora la famiglia lo richieda, con i soli insegnanti di sostegno. Ma questo è fumo negli occhi!- commenta Claudia – Un bambino o un ragazzo con deficit che entra in una classe vuota, da solo con il suo insegnante di sostegno, magari vedendo, nello schermo, tutti i suoi compagni a casa, non vive un contesto inclusivo né stimolante. Qualcuno dice che sia almeno una risposta all'abbandono dei mesi precedenti, ma quello che accade è molto triste e preoccupante: le famiglie che hanno risorse interne, per evitare al figlio di essere esposto a questa ulteriore frustrazione, lo tengono a casa e magari lo affiancano nella didattica a distanza. Chi invece non può tenerlo a casa, è costretto a mandarlo a scuola, pur in queste condizioni. Ma chi misurerà la regressione che questi ragazzi manifesteranno? Perché regressione comportamentale e relazionale ci sarà, questo è certo”.
Occorre quindi “mettere le famiglie degli studenti nelle condizioni di compiere una scelta libera e consapevole: tenere il figlio a casa, in didattica a distanza, con il supporto dell'assistente a domicilio, oppure mandarlo a scuola, ma con un gruppo eterogeneo di compagni, non certo da solo. Queste devono essere le uniche due opzioni possibili, perché nessun'altra potrà essere davvero inclusiva e rispettosa dei diritti e della sensibilità dei nostri figli”.