1 aprile 2016 ore: 13:58
Disabilità

Disabili in ospedale, le barriere sanitarie sono soprattutto al Sud

Prima indagine conoscitiva di Spes contra Spem e Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane. Il questionario è stato inviato a 814 strutture in tutta Italia, ma solo il 19,8% ha riposto. Emergono criticità per le attese al pronto soccorso, esami invasivi, degenze in reparti non attrezzati
Corridoio ospedaliero. Infermiera con carrello

Roma – Due strutture sanitarie su tre (36 per cento) non hanno un percorso prioritario per i pazienti con disabilità che devono fruire di prestazioni ospedaliere e oltre il 78 per cento degli ospedali non prevede spazi adatti di assistenza per i disabili intellettivi, motori e sensoriali. È quanto emerge dalla prima indagine nazionale realizzata dalla onlus Spes contra Spem in collaborazione con l’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, la Fondazione Ariel e la Fondazione Umana Mente e presentata questa mattina a Roma all’Istituto Superiore di Sanità. Lo studio cerca di fare luce sulle disparità dei trattamenti sanitari.

È stato inviato un questionario a un campione di 814 strutture ospedaliere (asl, aziende ospedaliere, policiclici universitari, istituti di ricerca e cura a carattere scientifico) individuate su tutto il territorio italiano, tra gennaio e settembre 2014: dieci domande a risposta chiusa sulla presenza di misure, presidi, percorsi clinico assistenziali e figure professionali per verificare le modalità di accesso e di cura delle persone con diverse tipologie di disabilità.

L’attesa al pronto soccorso, un esame invasivo, la degenza in reparto si trasformano spesso in un vero e proprio ostacolo per chi vive in una condizione di fragilità. Queste barriere sanitarie sono radicate soprattutto al Sud: i percorsi studiati per le persone con disabilità cognitiva sono presenti nel 29 per cento degli ambulatori e dei reparti del nord Italia e nel 6,5 per cento dei quelli del Mezzogiorno.

“Questa ricerca ha l’obiettivo di portare le strutture sanitarie a riflettere su quello che significa per un disabile curarsi nel nostro Paese. Purtroppo solo il 19,8 per cento delle strutture contattate ci hanno risposto”, ha affermato Alessandro Solipaca, responsabile scientifico Osservatore Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane. “In Italia ci sono tre milioni di persone con disabilità. Ogni anno 480 mila persone sono ricoverate in ospedale e oltre due milioni di disabili fanno accertamenti diagnostici e visite specialistiche”. Eppure solo il 16,8 per cento delle strutture ha un punto unico di accoglienza per le persone con disabilità. Al Nord è presente nel 20,9 per cento delle strutture, nel Centro-Sud e nelle isole nel 13 per cento degli ospedali. Nessuna struttura ha mappe a rilievo per persone non vedenti, mentre solo il 10,6 per cento è dotato di percorsi tattili. Questi ultimi sono assenti negli ospedali monitorati nelle regioni del Mezzogiorno e presenti solo nel 13 per cento dei casi nel Centro-Nord. Sono installati display luminosi per persone con deficit uditivo nel 57,8 per cento delle strutture. La percentuale scende al 45,2 per cento in quelli del Sud.

Solo il 12,4 per cento dei pronto soccorso ha locali o percorsi adatti per visitare pazienti con disabilità intellettiva. Al Sud la percentuale è dello 0 per cento. Negli ambulatori e nei reparti i percorsi clinico assistenziali sono presenti nel 21,7 per cento delle strutture. Anche in questo caso si evidenzia una forte forbice tra Nord e Sud (29 per cento contro il 6,5 per cento). Migliora, invece, la situazione per quanto riguarda la presenza della figura del case manager, prevista nel 61,5 per cento dei casi. Il 95,7 per cento degli ospedali consente la permanenza, oltre l’orario previsto per le visite, del caregiver della persona con disabilità.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le persone con disabilità hanno il doppio delle possibilità di trovare operatore non preparati e strutture inadeguate rispetto alle persone normodotate ed è tre volte più alta la probabilità che venga loro negato l’accesso a cure sanitarie. 

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