Disabilità e Covid: caregiver ricoverato, posto letto “sprecato”? Ecco cosa non si sa
ROMA – Ricoverare un caregiver insieme alla persona con disabilità, in caso di Covid e non solo, non è “uno spreco”, ma un diritto fondamentale: o meglio, una necessità. Lo dicono da tempo i caregiver familiari, che fin dall'inizio della pandemia chiedono a gran voce che questa possibilità sia garantita in tutti gli ospedali. E tornano a dirlo oggi, commentando la storia dell'uomo con sindrome di Down ricoverato all'ospedale Celio insieme al nipote che lo assiste. Una storia che ha commosso tanti, ma che ha anche suscitato le critiche di chi ritiene che non si possano, in questo momento di emergenza, occupare posti letto a meno che non ci sia una reale necessità. E l'assistenza di un caregiver alla persona non autosufficiente pare non esserlo.
Proprio qui allora sta il punto, su cui torna Sara Bonanno, dell'associazione Oltre lo Sguardo, caregiver e mamma di Simone, che come tanti caregiver si domanda con angoscia cosa sarà di suo figlio, semmai dovesse essere contagiato e ricoverato: perché finora non esiste una procedura chiara e condivisa sull'assistenza alla persona con disabilità ricoverata in ospedale. “E' notizia di ieri di una persona non autosufficiente che è stata, finalmente, ricoverata con il suo caregiver familiare in ospedale – riferisce Bonanno - E' una cosa che, noi caregiver familiari, chiediamo sin dall'inizio di questa pandemia, perché è qualcosa che ci sembra talmente naturale che il vietarla appare disumano”, commenta.
Caregiver ricoverato, posto letto “sprecato”
Sono però le reazioni suscitate dalla notizia ad essere particolarmente significative e illuminanti: “Leggendo i commenti fatti da diverse persone a questa notizia, ho finalmente intuito una delle principali ragioni e origini di questo divieto: la disinformazione. No, meglio: l'assoluta e totale mancanza di conoscenza. Molti infatti hanno contestato la scelta di ricoverare quella persona non autosufficiente con il suo caregiver familiare affermando che, in regime di carestia di posti letto, occuparne due rappresentava uno spreco - riferisce Bonanno - Ho capito che occorreva spiegare nei dettagli com'è la vita di un caregiver familiare in ospedale, perché è evidente che i rappresentanti istituzionali e sanitari non conoscono la nostra realtà e decidono i protocolli Covid senza sapere”.
Fondamentale è innanzitutto chiarire che il letto non c'è: “Il caregiver familiare, che assiste una persona non autosufficiente in ospedale, nemmeno sa che cosa sia un letto. Spesso non sa nemmeno che cosa sia un pasto e, in alcuni casi, non sa nemmeno che cosa sia un bagno. E non sto dicendo cose d'effetto, tanto per dire: qualsiasi caregiver familiare che abbia assistito una persona non autosufficiente in ospedale ve lo potrà testimoniare”.
Il caregiver “incollato” al familiare, risorsa unica
La verità è che “un caregiver familiare in ospedale vive letteralmente incollato alla persona che assiste, senza mai staccargli gli occhi di dosso, perché diventa tutto ciò che quella persona non è in grado di fare: dal suo lamento per segnalare dei dolori, dei malesseri, delle lievissime anomalie, spesso così importanti per i sanitari quando si tratta di salvare la vita. Il caregiver familiare sa come fare per spiegare alla persona non autosufficiente cosa gli sta succedendo quando gli fanno dei prelievi, gli somministrano dei farmaci, lo visitano. Tutte cose che possono sembrare naturali a chiunque, ma che diventano violente e gravemente traumatizzanti a chi ha difficoltà nel comprendere un contesto sconosciuto già largamente angosciante per il fatto che si sta male”.
Alla luce di questo, dovrebbe essere chiaro che “il caregiver familiare in ospedale è una risorsa unica e insostituibile. Altro che posto letto rubato! E' piuttosto un posto letto aggiunto, perché il suo essere 'incollato' alla persona non autosufficiente finisce per diventare talmente potente da rappresentare anche la cura stessa, svincolando le risorse sanitarie per altri pazienti”. Non solo: “La verità è che, anche quando al caregiver familiare quel posto letto spetterebbe di diritto, perché è lui ad ammalarsi, spesso rinuncia ad occuparlo, perché il suo impegno di assistenza viene prima di tutto. Perfino della sua stessa vita”.
Cambiare il protocollo Covid
La richiesta di Oltre lo sguardo onlus è quindi che “il protocollo Covid sia cambiato e preveda che, in caso di ricovero di persona con disabilità, sia sempre garantita la presenza e l'assistenza del caregiver familiare. Devono esserci percorsi personalizati per queste persone: o percorsi alternativi al ricovero, laddove possibile, o il ricovero insieme al caregiver, perché possa essere la voce che non hanno. Non si possono privare persone così fragili del proprio caregiver, perché sarebbe impossibile curarli. Chi ha pensato questo protocollo non ha idea di cosa faccia il caregiver in ospedale. E forse per questo pensa, come tanti altri, che sia un posto letto sprecato. Al contrario, il caregiver è la cura”. Ma la realtà è quella che descrive, in un'immagine che dice più di tante parole, un'altra caregiver, Gabriella: “Il caregiver in ospedale è una sedia a sdraio chiusa in fretta e nascosta dietro la porta prima dell’alba, perché il primario non la deve vedere. Essere invisibili come fantasmi, ma esserci sempre, perché il caregiver è la cura stessa”.