18 gennaio 2018 ore: 15:32
Disabilità

Disabilità, ecco come costruire un "Progetto di vita"

L’esperienza di Milano e in Lombaria raccontata da Marco Rasconi, presidente nazionale Uildm e di Ledha Milano sulle pagine di Welforum.it, l’osservatorio nazionale sulle politiche sociali. "Non si tratta di un mero atto amministrativo, bensì di un percorso educativo finalizzato alla qualità della vita della persona e alla autodeterminazione”
Disabile in carrozzina con assistente, ombre, invalidità

ROMA - Sono stati introdotti dalla Legge 328/2000, la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali e rilanciati dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2001: sono i “progetti individuali per le persone disabili” su cui Marco Rasconi, presidente nazionale Uildm e presidente della Ledha di Milano, dedica un approfondimento sulle pagine di Welforum.it, l’osservatorio nazionale sulle politiche sociali. Un tema quanto mai attuale, spiega Rasconi. “Ancora oggi, anche se si parla di progetto di vita - aggiunge -, ci si scontra con una parcellizzazione di interventi, pensando al qui e ora, senza porsi il pensiero della vita futura e adulta. L’obiettivo di chi ha in carico la persona con disabilità deve essere quello di aiutare l’interessato a pensarsi in una dimensione completa, in continuo cambiamento, ponendosi obiettivi di crescita a partire dalla proprie caratteristiche, dai propri bisogni, dai propri ambienti di vita e dalle proprie risorse personali”.

Ma come si costruisce un Progetto di vita? Come spiega Rasconi, il Progetto di Vita è un “processo dinamico capace di adattarsi alle necessità delle persone che mutano nelle diverse fasi della vita, garantendo continuità nei processi. La sua costruzione non è mai fatta da una persona sola. È frutto di un’interazione fra più persone: la persona con disabilità, la sua famiglia e chi l’ha in carico”. Nelle esperienze associative maturate all’interno di Uildm, Ledha e altre associazioni di persone con disabilità, continua Rasconi, “il Progetto di vita viene promosso dall’Ente che lo ha elaborato insieme alla persona con disabilità e dalla persona stessa. Il Progetto di vita non deve risultare un mero atto amministrativo, bensì un percorso educativo finalizzato alla qualità della vita della persona e alla autodeterminazione”. All’interno del Progetto di vita, inoltre, dovranno risultare le caratteristiche della persona e le reti formali ed informali che supportano la persona con disabilità, la situazione abitativa e familiare, nonché le entrate e le uscite finanziarie necessarie. “Avere consapevolezza di tutto ciò, porta a prendere in mano la nostra vita di persone con disabilità e da attori diventiamo registi”, spiega Rasconi.

L’esperienza della regione Lombardia e quella di Milano. In Lombardia, spiega Rasconi, di progetti di vita se ne parla da tempo. “A livello sociosanitario, tramite le misure finanziate con il Fondo nazionale per la non autosufficienza (Fna) e i servizi di Assistenza domiciliare integrata, è attivata ormai da qualche anno una valutazione multidimensionale e una progettazione individualizzata anche in collaborazione tra le agenzie di tutela della salute, le aziende sociosanitarie territoriali e i comuni o ambiti territoriali. La Regione assicura un contributo economico atto a garantire il supporto e l’assistenza a domicilio”. A partire dal 2015, inoltre, è stato introdotto in via sperimentale in alcuni ambiti territoriali e tramite il Fondo nazionale, un finanziamento finalizzato alla progettazione e realizzazione di interventi in materia di vita indipendente, molto simile al budget di cura utilizzato nella salute mentale. “L’iniziativa ha generato modelli d’intervento replicabili anche in futuro - aggiunge Rasconi -, allargando esperienze di territori più ricchi e virtuosi a territori con meno esperienza”.
A Milano, invece, la Ledha, collabora da tre anni con il Comune per i progetti di Vita Indipendente e recentemente anche con lo Sportello sul Dopo di noi. “La collaborazione tra Ente pubblico e Federazione associativa - spiega Rasconi - ha portato alla formazione di un’équipe multidisciplinare mista che ha dato la possibilità ad alcuni cittadini milanesi con disabilità di intraprendere percorsi personalizzati di vita: assumendo un assistente personale, generando nuovi modelli di intervento, coinvolgendo più attori nella propria rete territoriale. Un’occasione per cominciare a pensare a percorsi di accompagnamento alla vita adulta, all’uscita dal proprio nucleo familiare”. 

Interventi, conclude Rasconi, che hanno dato la possibilità ai servizi pubblici e alle persone “di cominciare a pensare e progettare il proprio futuro - continua -. Per alcuni è stata la tanto attesa spinta che ha permesso o permetterà di fare il gran passo, con interventi che normalmente i servizi territoriali non erogano oppure interventi al di fuori di realtà appartenenti alla rete dei servizi accreditati a livello regionale o comunale: ad esempio per adattare immobili alle proprie esigenze, attivare borse lavoro o tirocini socializzanti o percorsi educativi di inclusione sociale, sperimentazioni di percorsi di vita adulta in appartamenti protetti”.

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