28 dicembre 2016 ore: 14:09
Disabilità

Disabilità, i permessi retribuiti non sono giorni di ferie: sentenza della Cassazione

Il 23 dicembre la Corte ha deciso sul ricorso di una lavoratrice accusata di aver usato i permessi retribuiti per un viaggio all’estero. “Anche se non obbligato a prestare assistenza nelle ore in cui avrebbe dovuto lavorare, chi usufruire dei permessi non può disinteressarsi completamente della persona disabile”
Disabilità. Cartelli con simbolo carrozzina - SITO NUOVO

ROMA - I giorni di permesso retribuito per assistere un familiare disabile o invalido non possono essere utilizzati come se fossero giorni di ferie. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza del 23 dicembre, sul ricorso presentato da una lavoratrice condannata in primo grado e in appello per truffa: aveva utilizzato i permessi retribuiti previsti dall’articolo 33 comma 3 della legge non per assistere il familiare disabile ma per recarsi all’estero in viaggio con la propria famiglia.

“La norma prevede un’agevolazione per chi assiste una persona disabile, ma tale agevolazione presuppone che chi ne usufruisce continui a prestare assistenza”. L’agevolazione a cui fa riferimento la Cassazione è quella introdotta dall’articolo 24 della legge 183 del 2010, che ha elimitato i requisiti della “continuità” ed “esclusività” dell’assistenza per fruire dei permessi mensili retribuiti. Ciò però significa, si legge nella sentenza, che “il beneficiario del permesso ha a disposizione l’intera giornata per programmare l’assistenza al meglio in modo da ricavare uno spazio per sé, per svolgere le attività che non sono possibili o difficili quando l’assistenza è limitata in orari prestabiliti, dopo l’orario di lavoro”. I permessi servono quindi per dare la possibilità al lavoratore che assiste un familiare disabile di “poter svolgere un minimo di vita sociale” e “praticare quelle attività che non sono possibili quando l’intera giornata è dedicata prima al lavoro e poi all’assistenza”. Ma l’assistenza deve esserci. 

Il ricorso. Secondo la ricorrente, “la ratio legis della normativa non è solo la salvaguardia della salute psicofisica della persona disabile, ma anche la realizzazione del completo equilibrio del lavoratore impegnato, oltre che nel proprio lavoro, anche nella cura del familiare”. Inoltre, “non esiste alcuna norma che stabilisca quali siano le modalità di fruizione dei permessi”. In altre parole, “essendo quei giorni destinati al recupero delle energie psico-fisiche del fruitore dei permessi, questi non sarebbero altro che tre giorni di libertà”. Un’interpretazione ritenuta infondata dalla Corte di Cassazione. Il fatto è avvenuto nel 2008 quindi la normativa applicabile era quella prevista dall’articolo 33 comma 3 della legge 104 non ancora modificato con la condizione della “continuità” ed “esclusività” dell’assistenza era ancora presente. E comunque l’abrogazione di questa condizione è avvenuta, come precisa la Corte, “per evitare interpretazioni restrittive ed eccessivamente fiscali, come quella secondo la quale il lavoratore doveva utilizzare il permesso solo per prestare assistenza, sicché, se nelle ore in cui avrebbe dovuto lavorare era sorpreso a svolgere altre attività invece che a curare il disabile era imputabile di truffa”. 

Come ha chiarito la Corte, “l’abrogazione dell’obbligo di assistenza continuativa ed esclusiva è servita solo a chiarire la norma ma non a mutarne la ratio che consiste nell’assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile. È evidente che l’assistenza non è fattualmente ipotizzabile nella ipotesi in cui, come quella in esame, il fruitore dei permessi, si disinteressi completamente dell’assitenza, partendo per l’estero”. In conclusione, “pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona disabile nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, chi usufruisce dei permessi ex articolo 33 comma 3 legge 104/1992 non può utilizzare quei giorni come fossero giorni di ferie senza prestare alcuna assistenza alla persona. Di conseguenza, risponde di truffa il lavoratore che avendo chiesto e ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuito li utilizzi per recarsi all’estero in viaggio di piacere, non prestando quindi alcuna assistenza”. (lp)

© Riproduzione riservata Ricevi la Newsletter gratuita Home Page Scegli il tuo abbonamento Leggi le ultime news