7 ottobre 2016 ore: 09:34
Disabilità

Disabilità. Legge 104, per la Corte Costituzionale si estende ai conviventi

Con sentenza del 23 settembre 2016, la Consulta riconosce al convivente le agevolazioni previste dall’art.33 della Legge 104. Questione sollevata dal Tribunale di Livorno: la sentenza apre la strada al riconoscimento dei tre giorni mensili di permesso retribuito anche a chi non è unito in matrimonio. Violato di fatto l’art. 2 della Costituzione italiana
Indenità di accompagnamento, disabilità, assistenza domestica

ROMA - “La salute psico-fisica del disabile, quale diritto fondamentale dell’individuo riconosciuto dall’art. 32 della Costituzione, rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Con queste parole, la Corte Costituzionale riconosce al convivente di persona con disabilità grave la possibilità di usufruire dei tre giorni mensili di permesso retribuito previsti dal comma 3 dell’art. 33 della Legge 104/92 esclusivamente per “coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado quando i genitori o il coniuge abbiano compiuto 65 anni di età o siano essi stessi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”.

A leggere la sentenza infatti si evince come sia “irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito ivi disciplinato, non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità”. Questo perché, sollevata dal Tribunale di Livorno la questione della legittimità costituzionale dell’articolo in questione, la Corte Costituzionale ha ritenuto che il comma 3 dell’art. 33 della Legge 104/92 – come modificato dall’art.24 comma 1 della Legge 183/2000 relativa a “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi..” – violi di fatto l’art. 2  della Costituzione italiana e richiami gli art. 3 e 32 della stessa. “Nel merito – si legge nella sentenza – la questione è fondata”.

Secondo la ratio legis originaria del comma 3 art. 33 della Legge 104/92 infatti veniva riconosciuto il diritto a fruire dei tre giorni mensili di permesso retribuito, anche in maniera continuativa, alla lavoratrice madre, o in alternativa al lavoratore padre, anche adottivi, di “minore con handicap in situazione di gravità che avesse compiuto i tre anni di età, nonché a colui (lavoratore dipendente) che assistesse una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, convivente”. Con le modifiche apportate dalla Legge 183/2000 di cui sopra, la portata dell’art.33 è stata sensibilmente modificata, restringendo la platea dei beneficiari, eliminando la continuità e l’esclusività, ma anche spuntando espressamente il requisito della convivenza.

La Corte Costituzionale si è dunque rifatta alla ratio legis originaria, richiamando l’art. 3 della Costituzione italiana per la “contraddittorietà logica dell’esclusione del convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare la salute psico-fisica del disabile”, “in particolare – si legge nella sentenza - nei casi in cui la convivenza si fondi su una relazione affettiva, tipica del rapporto familiare, nell’ambito della platea dei valori solidaristici postulati dalle “aggregazioni” cui fa riferimento l’art. 2 della Costituzione”. Riconoscendo insomma la finalità di tutela psico-fisica della persona con disabilità grave quale diritto e la famiglia di fatto quale formazione sociale volta alla solidarietà, si riconosce anche il diritto del convivente ad usufruire dei permessi. Così deciso: l’udienza è tolta. (eb)

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