7 giugno 2013 ore: 11:26
Società

Dislessia, quando la mamma diventa terapista

La diagnosi per A.S. arriva a nove anni, in terza elementare. La mamma si rivolge all'Università di Padova e comincia un percorso di formazione su metodo proposto dall'ateneo. Fondamentale il ruolo delle maestre
ROMA – La diagnosi per A.S., che oggi frequenta la 5° elementare, arriva a nove anni, in terza elementare. La certificazione di Dsa accerta e definisce disturbi nella lettura, scrittura e calcolo e garantisce al bambino di essere esonerato da una serie di prove come la lettura a alta voce e il dettato e dallo studio della lingua straniera, prevede di programmare le interrogazioni e gli offre una serie di ausili per compensare il suo deficit, come la calcolatrice o il computer con programma di sintesi vocali. ''Dopo un primo momento di smarrimento iniziale, - racconta la mamma di A.S., Rachele Zeppilli - abbiamo deciso di provare qualcos’altro, di non accettare queste 'protesi mentali'. Ci siamo rivolti all’Università di Padova, dove si applica un metodo scientifico di potenziamento cognitivo”.

Data la lontananza dalla città veneta, l’unica possibilità è che la mamma diventi la terapista del bambino, ma il vantaggio è che, aiutandolo tutti i giorni, può lavorare al potenziamento delle sue capacità più deficitarie ogni giorno per 15 minuti al giorno, molto più di quanto potrebbe fare un qualsiasi riabilitatore. Nel caso di A.S. però accade anche qualcos'altro. Le stesse maestre contattano l’ateneo padovano e cominciano a frequentare i corsi e gli aggiornamenti  insieme alla mamma Rachele; insieme a scuola programmano e aggiornano il piano di lavoro del bambino. ''Le maestre hanno saputo accogliere A.S. e gestire le difficoltà valorizzando le risorse''.

''I bambini con dislessia hanno un livello  di autostima molto basso. – prosegue - E’ difficile credere in te stesso quando i tuoi amici leggono tutti meglio di te, sanno tutte le tabelline e vincono sempre le gare di velocità, quando una pagina di un libro di intimorisce perché è incomprensibile”. “Ho spiegato a mio figlio cos'è la dislessia e che il suo cervello funziona diversamente da quello dei suoi amici: è stato importante perché ha finalmente capito di non essere stupido ma di essere semplicemente diverso”.

“Nel primo quadrimestre della 4° elementare i primi successi: buoni voti nelle verifiche e nelle interrogazioni, è più sicuro e interviene anche dal banco”. Non  ha rinunciato a studiare inglese, malgrado le difficoltà, e grazie all’allenamento quotidiano con la mamma alla fine dell’anno ha memorizzato le tabelline e senza calcolatrice esegue moltiplicazioni e divisioni a una cifra. “Laddove si riesce a tessere una tela di rapporti professionali e umani intensi, basati sul rispetto e sulla fiducia, le cose funzionano. E funzionano così bene che un bambino dislessico diventa un bambino motivato, studioso, preparato, pronto a ogni sfida, perché chi è intorno a lui ha lo apprezza e lo stimola a fare di più, a fare del suo meglio”, spiega Rachele Zeppilli che dopo questa esperienza personale ha deciso di aprire  una sede  del Cnis - Coordinamento Nazionale Insegnanti Specializzati, in collaborazione con l’Università di Padova, nella sua città a Fermo nelle Marche. L’obiettivo è formare docenti e genitori su questo metodo. ''Nelle scuole e nelle strutture sanitarie le risorse economiche sono ridotte ai minimi termini, ma le risorse umane ci sono. E possono dare tanto''. (cch)
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