Donna rom morta in strada, la versione della polizia locale di Milano
MILANO - Il 26 maggio la Polizia Locale di Milano sgombera l'accampamento abusivo di rom che si è creato nel boschetto confinante il Centro di emergenza sociale (Ces) del Comune di via Sacile. Il 28 maggio, Mariana, una donna cardiopatica di 42 anni, che aveva la tenda proprio in quel boschetto, muore per un attacco di cuore mentre passa la notte su un materasso (l'unica cosa che le era rimasta) proprio di fronte al cancello del Ces. Per la Rete Rom, alla quale aderiscono una decina di associazioni, lo sgombero è stata una causa indiretta della morte di Mariana, perché è avvenuto "senza preavviso, senza assistenti sociali e senza proposte alternative". Secondo il diritto internazionale, le persone sgomberate dovrebbero ricevere subito un’alternativa valida e lo sgombero dovrebbe essere notificato in maniera scritta. Dall'assessorato alla Sicurezza, guidato da Carmela Rozza (Pd), arriva ora una versione diversa dei fatti. Diversa, ma non opposta. Perché anche nella ricostruzione della Polizia locale di quanto avvenuto il 26 maggio, emerge uno stile operativo quantomeno discutibile.
Secondo quanto riferito dall'assessorato a Redattore sociale, lo sgombero viene eseguito perché il boschetto, recintato, è di proprietà della Sogemi (società del Comune che gestisce l'Ortomercato) che ha sporto denuncia per l'occupazione abusiva. Anche Casa della Carità, che gestisce il vicino Ces, si lamenta della situazione che si è creata e per questo, sempre nel mese di maggio, manda due mail per chiedere un incontro con l'assessore Carmela Rozza (incontro che non ci sarà mai). La Polizia Locale sostiene che quando arriva nel boschetto trova solo 5 persone, che vengono denunciate per la violazione dell'articolo 633 del codice penale (ossia l'occupazione abusiva di edifici o terreni). Mariana non risulta tra i nomi delle persone identificate durante lo sgombero. E nessuno dei presenti ha chiesto cure mediche. Gli agenti della Polizia Locale informano i cinque denunciati che possono essere ospitati nei centri di accoglienza del Comune. "Se avessero accettato, avremmo avvisato i servizi sociali", sottolineano. Viene loro fornito anche l'indirizzo del campeggio di Milano. All'assessorato ammettono che nel campo però non vivevano solo i cinque denunciati. Tanto che permettono ad alcuni rom ospiti del vicino Ces di recuperare gli effetti personali di chi in quel momento non era presente nell'accampamento abusivo.
La ricostruzione fornita dall'assessorato alla Sicurezza non può che suscitare stupore. Innanzitutto perché l'intervento della Polizia Locale avviene dunque "alla cieca": non sanno chi ci vive, perché ha occupato l'area né in quali condizioni si trova. Oltre a Mariana cardiopatica, c'erano anche una donna incinta e una ragazza dimessa da un ospedale qualche giorno prima. Inoltre, confermano di non aver avvisato i servizi sociali dello sgombero e si prendono loro l'onere di fare quello che dovrebbero fare educatori o assistenti sociali: cercare una soluzione a situazioni sociali molto complesse.
Mariana è morta a causa dello sgombero? Oppure si sarebbe sentita comunque male, anche nella sua tenda? Domande scomode, alle quali è impossibile rispondere. Ma che interpellano le coscienze di tutti. E in una città dove, solo dieci giorni prima, almeno 50 mila persone sono scese in piazza, insieme al Sindaco Beppe Sala, accompagnate dallo slogan "Insieme senza muri" a favore dell'accoglienza, lo sgombero del campo abusivo di via Sacile e la morte di Mariana segnano una evidente contraddizione. (dp)