Donne migranti e partecipazione politica, è tutto da fare. "Tanti ostacoli alla visibilità"
ROMA - Le donne migranti sono pressoché escluse dalla vita politica italiana: è quanto emerge dallo studio "Partecipazione delle donne migranti alla vita politica e democratica in Italia di Laura Albu e Silvia Dumitrache, finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del progetto “Ampliare gli strumenti per affrontare le barriere affinché le donne migranti partecipino alla vita democratica - WE EMPOWER”.
“Lo scopo di questo lavoro è quello di esaminare la partecipazione delle donne migranti alla vita politica e democratica in Italia – ci spiega Dumitrache - I principali indicatori sono i diritti di voto, il diritto di candidarsi, il diritto di aderire a partiti politici e il diritto, l’opportunità e lo spazio per influenzare i processi decisionali pubblici. La partecipazione effettiva delle donne migranti è necessaria affinché possano contribuire con le loro idee e proposte allo sviluppo delle società in cui vivono. Tuttavia, in Italia, ci sono ancora molti ostacoli alla visibilità e alla voce delle donne migranti negli spazi pubblici e politici, ed è per questo che è importante avere una comprensione più profonda del contesto relativo alla migrazione, alle donne migranti e alla partecipazione in Italia”.
Quello che emerge, è un quadro con luci e ombre: da un lato, in Italia, “le donne di origine migrante, sia di prima che di seconda generazione, hanno una presenza autonoma rispetto alla controparte maschile e si muovono come soggetti consapevoli nei flussi migratori, nel mercato del lavoro e nella società, dove si impegnano in associazioni, sviluppano nuove forme di attivismo, di arte e produzioni letterarie”, si legge nel documento. Dall'altro, però, “le donne migranti rimangono bloccate tra un forte desiderio di affermazione personale e una cronica esposizione a condizioni di vulnerabilità”. Di fatto, “in Italia, ci sono ancora molti ostacoli alla visibilità e alla voce delle donne migranti negli spazi pubblici e politici”.
Lo sfruttamento lavorativo
Il percorso è a ostacoli, per le donne migranti, anche nel mondo del lavoro, dove “finiscono per essere collocate nei settori che adottano i trattamenti più sfavorevoli: colf, badanti, addetti alle pulizie, in uffici e imprese – si legge nel report - Nel settore domestico c’è un’alta concentrazione di lavoro non dichiarato”. Le più vulnerabili sono tuttavia le donne migranti che lavorano nel settore dell’assistenza e domestico, definite “uno dei gruppi di lavoro meno protetti dalla legislazione internazionale e nazionale. Più di 2 donne su 5 lavorano in questo settore”.
Come spiega Silvia Dumitrache dell’Associazione Donne Romene in Italia (ADRI), “i numeri parlano chiaro: sette pensionati su dieci non possono permettersi di mettere in regola le lavoratrici. Lo stato lo sa ma non fa nulla al riguardo. C’è molta retorica sul ruolo cruciale di queste lavoratrici, ma si tratta di sfruttamento istituzionalizzato. Non solo sono invisibili, ma sono anche deliberatamente ignorate”.
Nel 2020, è stata avviata la misura di regolarizzazione volta a garantire alle persone irregolari l’ottenimento di permessi di soggiorno e di lavoro e l’accesso ai servizi sanitari durante la pandemia, ma ha prodotto risultati limitati. La misura si applicava solo ai lavoratori del settore agroalimentare e ai lavoratori domestici. Nonostante l’89% dei lavoratori domestici siano donne, i dati mostrano che 2 persone su 3 che hanno presentato domanda di regolarizzazione sono stati uomini. Meno sono le donne che richiedono la regolarizzazione contrattuale e più aumenta la “persistenza allo sfruttamento”.
La partecipazione politica che non c'è
“Date le molteplici barriere che le donne migranti riscontrano, le opportunità di partecipare attivamente alla vita politica sono molto limitate. Mentre il diritto di voto spetta esclusivamente alle cittadine italiane e comunitarie, le donne migranti che sono cittadine di paesi terzi non hanno alcuna possibilità di essere attive nella vita politica”, si legge nello studio. In particolare la rappresentanza femminile nella politica italiana è molto bassa: “Nel 2022 c’era solo una donna di origine migrante nel Parlamento italiano (su 630 deputati e 315 senatori). Nel corso degli anni, ci sono stati alcuni esempi di donne migranti nelle istituzioni pubbliche. Tra loro Mercedes Lourdes Frias, della Repubblica Dominicana, ex assessore all’immigrazione nel comune di Empoli; e Cécile Kyenge, nata nella Repubblica Democratica del Congo, nominata Ministro dell’Integrazione dal governo Letta nel 2013-14 (Pasca, 2013). Le elezioni del 2022 hanno rivelato alcuni cittadini italiani di origine migrante, quali Ouidad Bakkali, nato in Marocco, ora membro del Parlamento; Antonella Moro Bundu, nata in Sierra Leone, siede nel Consiglio Comunale di Firenze; Diye Ndiaye, antropologa di origini senegalesi, dal 2014 consigliere comunale di Scandicci (Firenze); Veronica Atitsogbe, di origine togolese, ora consigliere comunale a Verona - la prima italiana di seconda generazione a entrare in consiglio comunale”.
L'attivismo che c'è
D'altro canto, c'è un forte attivismo e una grande richiesta di partecipazione: “Le associazioni o i gruppi di donne migranti svolgono un ruolo importante nel promuovere la partecipazione alla società italiana – si legge ancora - In Italia, negli anni ‘70, sono state istituite le prime associazioni di donne migranti quando le donne migranti sono arrivate per la prima volta nel paese come lavoratrici domestiche. Durante gli anni ‘80, le donne migranti hanno iniziato a organizzare a livello nazionale reti di sostegno reciproco e di solidarietà, comprese le organizzazioni di donne migranti come il Consiglio femminile filippino e l’Associazione delle donne di Capo Verde. Attraverso queste organizzazioni, le donne migranti svolgono diverse attività, tra cui il sostegno all’integrazione lavorativa delle donne migranti e advocacy per influenzare la legislazione e i cambiamenti politici”.
Per questo, “è necessaria una risposta coordinata a un approccio sensibile al genere quando si tratta di integrazione dei migranti, in particolare per migliorare la partecipazione delle donne migranti. Ciò può essere fatto garantendo il dialogo tra la società civile e il governo, al fine di condividere le migliori pratiche e identificarne le lacune; attraverso la raccolta di dati sistematici disaggregati per genere; una migliore fornitura di informazioni per le donne migranti (ad esempio, fornendo informazioni su diritti e risorse in varie lingue); la partecipazione attiva delle organizzazioni femminili alle consultazioni pubbliche, in particolare le organizzazioni guidate da donne migranti, finanziare le organizzazioni di donne migranti e delle organizzazioni di donne che sostengono le donne migranti”, conclude lo studio.
Qui lo studio