Donne senza dimora più a rischio di abusi rispetto agli uomini. Al via un progetto europeo
BOLOGNA – Le donne sono circa un terzo delle 50 mila persone senza dimora stimate dall’Istat, ma la loro condizione è più drammatica, perché hanno meno servizi in generale e insufficienti servizi dedicati. Solo dal punto di vista igienico sanitario. E durante il ciclo, per esempio, “la loro condizione è devastante”, chiarisce Cristina Avonto, presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza fissa dimora.
“Sono esposte a ogni tipo di abuso e violenza. Spesso hanno problemi psichiatrici o sviluppano fragilità psicologiche importanti legate alla vita in strada, in cui si trovano alla mercé delle persone che incontrano”. La maggior parte hanno fra i 35 e i 65 anni, “ma sta emergendo anche il fenomeno delle giovani donne, dai 18 ai 25 anni, con situazioni di fragilità psicologica o provenienti da nuclei familiari maltrattanti e spesso abusanti”, aggiunge Avonto. Per molte di loro, che hanno lasciato una casa per sottrarsi alle violenze, la vita in strada comporta invece la ripetizione degli abusi, che finiscono per diventare la modalità caratteristica delle loro relazioni. Poter rientrare in un alloggio sarebbe già un primo passo per trovarsi in sicurezza, spiega la presidente di Fio.PSD, come dimostrano in generale i percorsi di housing first, su cui si è fatto il punto lo scorso 7 giugno a Roma nell’assemblea aperta convocata dalla federazione. “Ribaltando il paradigma dei servizi d’emergenza e della logica a scalini, per cui devi comportarti bene per guadagnare il diritto successivo, si riconosce il diritto di vivere in un luogo sicuro e protetto, e a partire da questa nuova stabilità si costruiscono insieme alla persona interessata i passi successivi”.
Dal 2014 al 2016 sono state quasi 670 le persone coinvolte nei progetti realizzati con fondi propri da associazioni, fondazioni, cooperative. L’anno scorso si sono aggiunti 50 milioni del Fondo sociale europeo (per il periodo dal 2018 al 2020) e 20 milioni all’anno per il biennio 2018-19 dal Fondo nazionale per il Reddito di inclusione, con una specifica indicazione a sostenere la sperimentazione housing first. “Abbiamo fortemente lavorato a fianco del governo per ottenere il Rei e siamo soddisfatti di questa misura, finalmente strutturale, che dà attenzione anche alle persone senza dimora, una categoria molto fragile e ancora poco visibile. Ma ci vorrà un po’ di tempo perché si possa stabilizzare”, commenta Avonto, scettica invece sul reddito di cittadinanza che il nuovo governo ha promesso di introdurre: “È troppo presto per dare un giudizio, ma sembra ci sia un tema di coperture. Invito il governo ad avere prudenza, ad analizzare gli esiti che ha avuto in altri paesi europei, dove, spesso, ha fallito l'obiettivo”.
“Per le donne essere senza casa è uno stigma ancora più forte, a causa di una condanna morale che impedisce loro di chiedere aiuto, ma la loro situazione sta emergendo”, prosegue la presidente di Fio.PSD, che partecipa al progetto PIE4shelters, co-finanziato dal programma della Commissione europea Rights, Equality and Cirizenship, per sviluppare la capacità dei servizi per le persone senza dimora di supportare le donne vittime di violenza, seguendo l’approccio PIE - Psychologically Informed Environments (Ambiente Psicologicamente Informato). Gli obiettivi sono incrementare o migliorare la protezione e il supporto delle donne senza dimora vittima di violenza; sviluppare o potenziare la capacità dei servizi di rispondere alle esigenze dei senza dimora vittima di violenza di genere; supportare i servizi nel diventare Ambienti Psicologicamente Informati.
“Nel primo anno si è lavorato per trovare un format condiviso che permetta agli operatori dei servizi di bassa soglia, delle unità di strada, dei pronto soccorso di identificare in maniera precoce le donne senza dimora in situazioni di abuso e violenza, per intervenire con strumenti specifici e mettendole in sicurezza”. “Dovrebbe essere uno strumento di formazione per sviluppare la loro sensibilità, per evitare che accada, come spesso avviene, che le donne senza dimora che si presentano al pronto soccorso non vengano segnalate ai servizi che potrebbero prenderle in carico”, sottolinea Avonto. “Molte di loro non sono partite con problematiche psichiatriche, ma si trovano velocemente ad avere derive di questo tipo, a perdersi. Inserirle in progetti di housing first le metterebbe prima di tutto in sicurezza e poi, grazie anche ad altri interventi come il reddito di inclusione, si potrebbero avviare percorsi di recupero della propria autonomia”.
Sul progetto PIE4shelters, partito l’anno scorso e ora fase di individuazione dei servizi in cui sperimentare il format condiviso, si è fatto il punto lo scorso 3 luglio a Roma, durante un workshop internazionale. “Tra 6-7 mesi valuteremo i primi esiti. Ci si aspetta di aumentare le donne prese in carico in maniera effettiva e risolutiva”, conclude Avonto. (Benedetta Aledda)