Dopo di noi, alleanza tra banche e terzo settore: arriva "Trust in life"
MILANO - Vietato illudersi. La legge sul "Durante e dopo di noi" e i 90 milioni di euro del Fondo nazionale non bastano a garantire che ogni persona disabile grave possa costruirsi un progetto di vita autonoma. Per esempio, la Regione Lombardia ha stimato che siano circa 3.600 le persone che hanno bisogno di un accompagnamento e un sostegno nell'ambito della legge 112 del 2016, ma riuscirà a soddisfarne al massimo mille. "Questa legge non migliorerà automaticamente la vita delle persone destinatarie", spiega senza tanti giri di parole Roberto Speziale, presidente dell'Anffas. È a fronte di questo quadro poco confortante che Anffas, il gruppo Cgm e Ubi Banca si sono alleate per creare il progetto "Trust in life", che è stato presentato questa mattina a Milano. Le famiglie delle persone con grave disabilità potranno rivolgersi ai tre partner per definire un Progetto di vita del proprio familiare, che contemplerà anche la gestione dei beni immobili o delle risorse finanziarie.
Il Trust è uno strumento giuridico col quale un soggetto affida ad un altro un bene che deve amministrarlo in suo nome e per un fine specifico. La legge sul "Durante e dopo di noi" prevede la possibilità di creare un trust, tramite testamento o atto pubblico, per provvedere all'assistenza, alla cura e alla protezione di persone con disabilità gravi. Ubi Banca si occuperà della gestione dei beni, mentre le cooperative aderenti a Cgm o Anffas della stesura del Progetto di vita e della gestione dei servizi alla persona. E così, a solo titolo d'esempio, se i genitori lasciano al figlio disabile un appartamento e i risparmi di una vita, con il Trust verranno gestiti da Ubi Banca (viene nominato un "guardiano" sul corretto uso dei beni stessi) mentre le cooperative sociali provvederanno ad assistere nella sua casa il figlio. Alla base di tutto c'è però il Progetto di vita, che viene predisposto in accordo con la famiglia e la persona disabile.
L'accordo tra Ubi Banca, Cgm e Anffas prevede tre tipi di trust. Quello individuale, col quale i beni di una persona disabile sono gestiti unicamente per la soddisfazione dei bisogni della persona stessa. Occorre però che i beni abbiano una certa consistenza, altrimenti non bastano a garantire (anche se integrati con fondi pubblici) l'assistenza per tutta una vita. C'è poi il trust di progetto, che può arrivare a coinvolgere fino a quattro persone con disabilità e i loro rispettivi beni. Per esempio, magari uno solo è in possesso di un appartamento, ma gli altri tre possono entrare nel progetto e portano i loro risparmi e contribuiranno alla spese stesse della casa. In questo modo si dà la possibilità a più persone di avere una vita autonoma, sempre assistiti dalle cooperative sociali del progetto. Infine verranno creati i trust di comunità, nel quali confluiranno i beni rimasti, una volta che anche la persona con disabilità è deceduta. Una opzione, quest'ultima, che viene comunque decisa all'inizio del progetto di vita della persona stessa, e quindi concordata con i familiari. "Trust in life può mettere in moto energie per rispondere alle esigenze delle persone con grave disabilità e delle loro famiglie, attraverso servizi sempre più personalizzati e puntuali", commenta Stefano Granata, presidente di Cgm. (dp)