21 marzo 2016 ore: 15:21
Disabilità

Dopo di noi, associazioni torinesi: “A rischio diritti esistenti”

Mentre il ddl, già promosso “con un sei scarso” dalla Fish, si avvia a passare l’esame della commissione Lavoro, mercoledì il Senato riceverà in audizione un coordinamento associativo di Torino. Che denuncia: “legge da riscrivere, diritti a rischio per far spazio a un sistema affaristico e discrezionale”
Dopo di noi - ragazzino disabile

TORINO - Una legge che, “se non riveduta profondamente”, rischierebbe di mettere “in serio pericolo” i diritti fondamentali di disabili gravi e non autosufficienti. Non accennano a placarsi le polemiche sul “Dopo di noi”, il ddl con cui il governo Renzi vorrebbe garantire una più efficace e articolata presa in carico di quei disabili rimasti senza il supporto famigliare. Se il testo era già stato promosso “con un 6 scarso” dalla Fish, perché troppo timido sotto il profilo dell’inclusione sociale e della de-istituzionalizzazione, è da Torino che giungono le critiche più pesanti. Critiche che arrivano a metterne in discussione le fondamenta stesse. 

A esprimerle, in questo caso, sono le associazioni che fanno capo al Coordinamento sanità e assistenza, raggruppamento interassociativo che dal 1970 si batte per tutela di disabili gravi e non autosufficienti, raccogliendo una ventina delle maggiori realtà attive in Piemonte. A sentir loro, tra le righe del testo attualmente all’esame del Senato ci sarebbe addirittura il rischio di una involuzione, con una “sostanziale erosione dei diritti esistenti”. “Il punto - spiega Andrea Ciattaglia, portavoce del Csa - è che l’impianto stesso delle legge sembra poggiare su un pericoloso equivoco:  l’assunto che i servizi per i disabili gravi in Italia siano ancora all’anno zero, che non ci sia nulla. Oltre a non essere vero, questo messaggio rischia di dar vita a una sostanziale perdita di diritti e garanzie, oltre che a un sistema affaristico che poco avrebbe a che vedere con la tutela di questi soggetti ”. 

L’articolo incriminato, in questo caso, è soprattutto il quarto, che stabilisce i destinatari del nuovo fondo per le persone non autosufficienti. Sotto accusa c’è quella compartecipazione di pubblico e privato nella creazione e gestione dei servizi residenziali (come case famiglia e comunità alloggio), che, secondo il governo, dovrebbe stimolare la nascita “programmi e interventi innovativi”.  Secondo Ciattaglia, al contrario, ciò aprirebbe la strada a due fondamentali problemi: “il primo - chiarisce - è che, mentre il governo promette una serie di agevolazioni ai privati che vorranno mettersi sul mercato, nessuno si è ancora preoccupato di stabilire alcun criterio qualitativo circa il livello minimo delle prestazioni che andranno a erogare. Tutto ciò che sappiamo, ad oggi, è che la legge intende incentivarne l’iniziativa; e che il governo si è impegnato a fissare, in un futuro molto indefinito, i cosiddetti Leps, ovvero i livelli essenziali delle prestazioni sociali”. 

Di qui, secondo il Csa, si arriverebbe al secondo, e più importante, problema. “Manca qualsiasi cenno su cosa accadrà ai diritti e alle prestazioni esistenti” chiarisce Ciattaglia. “Da vent’anni, la legge sui sui Livelli essenziali d’assistenza si traduce in prestazioni esigibili a norma di legge: col nuovo testo, tutto ciò sembra quasi dimenticato, per far spazio a un sistema misto pubblico-privato che non poggerà più sulla certezza del diritto, ma sulla discrezionalità di concessioni e libero mercato”. 

L’impressione, dunque, “è che si stia tornando su un pericoloso crinale: quello della graduale cancellazione dei diritti sanciti dalla legge sui Lea. Una tendenza che nelle regioni è visibile da anni, ormai”. La querelle, peraltro, non giunge affatto nuova:  il 30 settembre del 2014, durante un’audizione alla Camera, fu proprio Ciattaglia - in rappresentanza di un vasto gruppo di movimenti nazionali - a denunciare come la prima bozza della legge fosse fondata “sull’omissione di diritti esistenti”. “I promotori del ddl - ricorda  - hanno cercato di tamponare quelle perplessità inserendo nel testo la dicitura: ‘Restano comunque salvi i livelli essenziali di assistenza’. Ma di fatto non ne hanno tenuto conto in nessuno degli articoli del testo presentato alle camere. La domanda dunque resta aperta: in che modo questi diritti sopravvivranno all’interno del nuovo quadro normativo”? 

Il rischio, quindi, “è che una serie di prestazioni esigibili a norma di legge finiscano nel dimenticatoio - ribadisce - per far spazio a un sistema che alleggerirebbe le casse dello stato da un onere pesante. Mentre il governo continua a glissare sul livello qualitativo delle future prestazioni, da settimane noi riceviamo chiamate di privati cittadini senza alcuna  esperienza nella cura dei disabili,  che hanno deciso però entrare nel settore perché hanno un casale da ristrutturare e vorrebbero trasformarlo in una comunità con gli incentivi statali. Mi pare ci siano tutti gli elementi per temere l’emergere di un sistema clientelare: e a tal proposito noi abbiamo già inviato tre segnalazioni al responsabile dell’Autorità contro la corruzione Raffaele Cantone”.  

La preoccupazione, peraltro, è ampiamente condivisa. La scorsa settimana, a un convegno organizzato sul tema nella sede dell’ordine dei medici di Torino, si è presentata una piccola folla di famigliari e caregiver di disabili gravi e non autosufficienti. Uno alla volta sono saliti sul palco, per raccontare le loro esperienze circa la qualità dei servizi ottenuti negli ultimi 20 anni grazie alla legge sui Lea. E sia le famiglie che le numerose associazioni presenti (tra le quali Anffas e  Coordinamento associazioni per l’autismo) hanno espresso perplessità molto simili a quelle nutrite dal Csa.  

Forse per questo, la Commissione lavoro e previdenza sociale - che attualmente ha in esame il ddl - ha accettato di ricevere nuovamente Ciattaglia e il Coordinamento, in un’audizione fissata per il prossimo mercoledì. “Il fatto stesso che il testo sia stato assegnato a quella commissione - conclude il portavoce - è il segno tangibile di come il governo sta approcciando la questione. La de-istituzionalizzazione e l’inclusione sociale sono necessitò tangibili per i non autosufficienti. Ma queste persone hanno bisogno di prestazioni e diritti che rientrano nel profilo sanitario, prima che sociale. Per questo, ribadiremo come non avrà alcun senso continuare a parlare di Livelli essenziali delle prestazioni sociali, finché nessuno avrà chiarito che fine faranno le prestazioni sanitarie”. (ams)

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