8 febbraio 2021 ore: 10:29
Economia

Draghi, Di Maio, Beppe Grillo e il Reddito di cittadinanza

di Stefano Caredda
La misura simbolo nata e cresciuta sotto i due governi Conte alla prova del nuovo esecutivo tecnico: un “tagliando” inevitabile ma l’ex governatore Bce ha già mostrato una chiara sensibilità per il contrasto alla povertà. La rivoluzione epocale che ha portato al Rei e al Rdc non è destinata ad arretrare
Mario Draghi Palazzo del Quirinale 3 gennaio 2021

Nel quadro, giorno dopo giorno in via di definizione ma ancora molto sfocato, che ritrae i contorni del governo di alto profilo guidato dal “migliore” fra quanti un’Italia in piena crisi politica potesse chiamare in suo soccorso, molte sono le cose che restano ancora sospese: non solo quale sarà davvero il perimetro della maggioranza che lo sosterrà, o se la presenza nella squadra dei “tecnici” sarà nettamente o meno superiore a quella delle figure politiche, ma anche quali saranno davvero le scelte che il governo di Mario Draghi – se dovesse vedere la luce e ottenere la fiducia - sceglierà di fare proprie. La gestione della pandemia in ambito sanitario e la messa in opera delle azioni legate al Recovery Plan e ai fondi ad esso collegati in ambito economico rappresentano senza ombra di dubbio, e di gran lunga, le due priorità principali, oltre all’azione di supporto e di sostegno di quella fetta d’Italia – famiglie e imprese – per i quali la pandemia ha portato difficoltà e devastazione. Ma certo al Parlamento dovranno essere presentati provvedimenti in grado di convincere una maggioranza – sembra assai ampia – di quegli stessi gruppi parlamentari che, nel corso di questa legislatura, hanno più volte dimostrato, anche al di là di quanto pareva possibile, profonda litigiosità e sorprendente voglia di rottura.

E’ vero che la mossa Draghi - servita dal Presidente della Repubblica con piglio deciso - ha sparigliato le carte, cambiato radicalmente lo scenario e avviato un treno che pare destinato a durare. Ciò nonostante, l’incidente parlamentare – oggi o più avanti ( al termine della legislatura mancano due anni) - è sempre dietro l’angolo e i temi sui quali dividersi, del resto, non mancano di certo. Quel che è per certi versi sorprendente è che con tutta probabilità uno dei capitoli che negli ultimi anni più ha contribuito ad esacerbare gli animi, che più è stato amato da alcuni ed odiato da altri, che più è diventato un simbolo e dunque qualcosa da cavalcare senza indugio o da abbattere senza mezzi termini, ebbene questo tema, quello del Reddito di Cittadinanza, non rappresenterà un problema per l’esecutivo guidato dall’ex governatore della Banca Centrale Europea.

Il Reddito di Cittadinanza: serve un tagliando, ma oggi è più importante che mai

In un improvviso rinsavimento generale, dopo almeno otto anni di proposte e polemiche e due anni di faticosa ed effettiva realizzazione, il Reddito di cittadinanza oggi non è più, nei Palazzi della politica, né quella misura infallibile che avrebbe dovuto portare niente meno che all’abolizione della povertà (il più grande svarione sul tema degli ultimi tempi), né quella misura clientelare e assistenzialistica responsabile del più grande e inutile sperpero di denaro pubblico degli ultimi anni. Certo, non scompariranno completamente le frecciate, i riferimenti ai "furbetti del divano", le beffarde allusioni ai “navigator” come “gli unici ad aver trovato lavoro con il Reddito di cittadinanza”, ma tutto questo non porterà a passi indietro, a cancellare tutto; piuttosto significherà andare avanti, potenziare, migliorare, perfezionare.

Le consultazioni fin qui svolte dal presidente del Consiglio incaricato hanno confermato quanto già si poteva ipotizzare: il Reddito di cittadinanza rappresenta uno strumento universale di contrasto alla povertà assoluta, una misura presente praticamente ovunque in Europa e che l’impatto della pandemia da Covid-19 rende peraltro ancora più importante e necessaria. Nel quadro attuale, non si può prescindere da uno strumento che, pur con tutte le sue pecche, rappresenta il principale sostegno economico ad integrazione dei redditi familiari, svolgendo una funzione di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale. Va certamente messa mano a tutta quella parte del Reddito che avrebbe dovuto caratterizzarsi come strumento di politica attiva del lavoro, e che ha in questo anno e mezzo sostanzialmente fallito i suoi obiettivi: ma questo non è da tempo un tabù neppure per il Movimento Cinque Stelle, che con Luigi Di Maio ha da tempo aperto all’ipotesi di un “tagliando”: “L’aiuto alle persone più deboli – diceva nel settembre scorso - è il primo dovere di ogni Stato democratico. Ma ciò non significa che questo aiuto non sia migliorabile. D’altronde, dopo la pandemia è cambiato tutto, siamo entrati in una crisi economica che oggi deve spingerci a guardare oltre, ad avere una visione e ad aggiornare anche alcuni provvedimenti cardine del Movimento, proprio come il Reddito. Non significa cancellarlo, anzi. Si può però fare un tagliando, un adeguamento alle attuali necessità del Paese”.

E del resto, sempre in quel settembre 2020, appena qualche giorno prima anche il premier Giuseppe Conte, immaginando di giungere ad una proposta in tal senso per “i primi mesi del 2021”, aveva ammesso pubblicamente che “il progetto di inserimento nel mondo del lavoro collegato al Reddito di cittadinanza ci vede ancora indietro: dobbiamo completare quest'altro polo e offrire un processo di formazione e riqualificazione ai lavoratori”.

Oggi, cinque mesi dopo, con il governo Conte dimissionario e il tentativo di formarne uno da parte di Mario Draghi, il M5S non poteva non porre apertamente il tema: “Abbiamo ribadito la nostra volontà che non siano indebolite misure come il reddito di cittadinanza”, ha riassunto due giorni fa il capo politico del M5S, Vito Crimi, dopo il primo incontro della delegazione pentastellata con Draghi. Aggiungendo un significativo: “Abbiamo trovato una persona sensibile a questo tema". Un approccio che era già filtrato qualche ora prima con riferimento alla telefonata fra Beppe Grillo e Mario Draghi, durante la quale sarebbe stato evidenziato dal premier incaricato come il Reddito di cittadinanza possa essere “migliorato e rafforzato”.

Del resto, la visione d’insieme maturata da Mario Draghi ha già in passato pubblicamente affrontato il tema della necessità del sostegno e della protezione dei cittadini: in un editoriale del 25 marzo 2020 (la pandemia era in pieno sviluppo) sul Financial Times aveva apertamente fatto riferimento alla priorità di “fornire un reddito di base (basic income) a coloro che perdono il lavoro”, pur rimarcando che “in primo luogo dobbiamo proteggere le persone dal rischio di perdere il lavoro”.

Il toto-ministri, Giovannini e i progetti da realizzare

A volerli trovare, in realtà, di tracce e indizi ce ne sono anche altri. E’ praticamente l’intero mondo accademico e tecnico a ragionare in questi termini del Reddito di cittadinanza: mantenere e migliorare la parte che ha funzionato, cambiare e incidere su quella che è rimasta ferma al palo. Proprio ieri, in una intervista al Fatto Quotidiano, è intervenuto sul tema anche Enrico Giovannini, in questi giorni indicato sui quotidiani come possibile ministro del Lavoro e delle Politiche sociali del governo Draghi. Il toto-ministri, si sa, è sempre un azzardo, ma il nome di Giovannini, che ha già ricoperto quel ruolo otto anni fa nel governo Letta, la dice lunga sull’orientamento generale. “Non c’è dubbio che in una situazione come questa il Reddito di Cittadinanza serve”, scandisce Giovannini ricordando da un lato di avere introdotto, proprio con il governo Letta, “la prima misura anti povertà, il Sostegno di inclusione attiva (Sia), poi sostituito dal Rei e dal RdC” e dall’altro lato di avere ad alta voce proposto nell’aprile scorso il “Reddito di Emergenza” (Rem) per “coprire anche le persone senza altri ammortizzatori sociali”. Una proposta accolta dal governo Conte solo in una versione parziale e decisamente depotenziata, ma che comunque ha assicurato un ulteriore sostegno a quanti non lo avevano. “Come  per ogni politica – ha detto ieri Giovannini - è sicuramente opportuna una valutazione sull’efficacia, per poi fare gli aggiustamenti necessari, nell’ambito di una riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive”. E a tal proposito citava la previsione di “una banca dati unica per le politiche attive e passive”, varata già nel 2013 con un suo decreto e poi arenatasi: “Il progetto non è stato realizzato, ma non è affatto così difficile, serve la volontà politica: visto che il lavoro è un’emergenza, l’allineamento delle banche dati regionali si può fare per decreto, come si è fatto per i dati sanitari. E’ vero che le competenze sulle politiche attive e la formazione sono delle Regioni, ma gli enti possono essere convinti a collaborare – come facemmo nel 2014 con la Garanzia Giovani (per la quale la banca dati è nazionale) – se vogliono avere i fondi Ue”. Ecco, chissà se i lavori preparatori avviati dal governo Conte 2 avevano affrontato il tema e chissà che fra qualche tempo ciò non diventi davvero oggetto di un’iniziativa del governo Draghi.

Il Reddito, l’Alleanza contro la povertà e il ruolo delle parti sociali

Giovannini ha buon gioco nel ricordare l’avvento del Sia e poi del Rei e del Rdc, i tre diversi nomi con i quali nel nostro paese si è arrivati all’approvazione di una misura universale di contrasto alla povertà assoluta. Nomi diversi per esigenze di copyright politico, ma un percorso unitario, seppure altalenante e con stop & go improvvisi, dovuti anche alle cesure politiche fra una legislatura e l’altra. Anni, quelli avviati nel 2013 e conclusisi nel 2019, che hanno visto il continuo e costante pungolo di una rete di realtà che hanno rappresentato presso la politica le istanze dei più poveri: l’”Alleanza contro la povertà”, una sorta di lobby dei poveri, promossa da Acli e Caritas e composta da un vasto e variegato spettro di realtà associative, organizzazioni sociali, sindacati, che col tempo ha assunto un ruolo chiave di proposta e di confronto,  risultando fondamentale sia quando riconosciuta come interlocutore diretto del decisore politico (è accaduto con il Sia e il Rei durante i governi Letta, Renzi e Gentiloni), sia quando tale riconoscimento non c’è stato (il Conte 1 del Reddito di Cittadinanza).

Quello degli attori sociali è un ruolo che anche nel prossimo futuro potrebbe essere cruciale, e non deve sfuggire in tal senso l’intenzione, subito manifestata da Mario Draghi, di avviare un confronto non solo con il Parlamento ma anche con le parti sociali. Non è solo il pensiero dei partiti che conterà nel futuro del Reddito di Cittadinanza, ma anche il parere di quanti hanno lavorato senza sosta per anni per porre il tema della lotta alla povertà fra le priorità dell’azione legislativa.

Con Gori il dietro le quinte del Rei e del Reddito: una rivoluzione che non passerà

Un aiuto e un’indicazione sul come leggere e interpretare il futuro che verrà può certamente arrivare dalla lettura di un saggio pubblicato da Laterza nel settembre scorso: si intitola “Combattere la povertà. L’Italia dalla Social Card al Covid-19” e l’autore è Cristiano Gori, docente di Politica sociale all’Università di Trento, ideatore dell’Alleanza contro la Povertà nel 2013 (di cui è stato coordinatore scientifico fino al 2019) e poi nel 2020 autore, insieme al Forum Disuguaglianze di Fabrizio Barca e all’Asvis (Alleanza per lo sviluppo sostenibile) di Enrico Giovannini, della già citata proposta del Reddito di Emergenza (Rem).

combattere la povertà gori laterza Gori racconta con linearità e semplicità una storia in realtà alquanto ingarbugliata, che ha portato la politica italiana – che per decenni si era ostinatamente disinteressata dei più deboli, partorendo al più solo soluzioni residuali come la Social Card introdotta nel 2008 dal governo Berlusconi – a considerare come prioritario il tema dell’esplosione della povertà assoluta, balzata dagli 1,8 milioni di persone del 2007 agli oltre 5 milioni nel 2017 e 2018. E’ un racconto dal di dentro, ricco di riferimenti puntuali, che non nasconde situazioni specifiche e aneddoti significativi, in una sorta di dietro le quinte di ciò che è accaduto negli ultimi anni. Le proposte, i calcoli, lo sforzo della chiarezza, la traduzione in testi normativi, il confronto con le norme approdate nelle varie leggi di bilancio, le giornate a scrivere gli emendamenti attraverso i quali sperare in qualcosa di più, le telefonate sul far della notte per capire le decisioni infine assunte dai Consigli dei ministri. In definitiva, la storia di come, nello specifico, di fronte ad una puntuale, chiara ed ambiziosa proposta presentata in modo efficace e diretto, la politica abbia risposto in modo differente e paradossale: i governi a guida Pd con un’interlocuzione diretta e un riconoscimento costante, ma limitato impegno economico; il governo Conte a trazione M5S con un accentramento totale e impermeabile a qualsiasi confronto, ma con un impegno di spesa assolutamente clamoroso per ciò che fino a quel momento si era visto.

Il testo sa intrattenere il lettore ma soprattutto – ed è questo che qui vogliamo sottolineare - ha il pregio di evidenziare un insegnamento basilare per chiunque voglia incidere nelle politiche pubbliche: non basta indicare obiettivi generali, occorre scendere nel dettaglio e prospettare ai decisori soluzioni concrete. L’Alleanza contro la povertà si è caratterizzata per la sua capacità di unire e coinvolgere differenti soggetti sociali, per l’ascolto dell’esperienza concreta, per aver messo insieme operatori (lavoro sul campo) e professori (conoscenza scientifica), per aver sempre presentato proposte “chiavi in mano”, complete di progetto operativo ed immediatamente utilizzabili. Un approccio pubblico caratterizzato da notevole insistenza ma anche da assenza di contrapposizione, con priorità allo spirito costruttivo, accettazione degli esiti negativi e riproposizione aggiornata dei medesimi obiettivi. Un connubio portato avanti con un’articolata trama di relazioni che ha infine prodotto i suoi risultati, per quanto evidentemente mai perfettamente corrispondenti alle iniziali aspettative. Eppure, l’Alleanza resta l’esempio più calzante e concreto di come si possa spingere con successo un tema di politica sociale al centro delle priorità pubbliche. Un modello che meriterebbe di essere ripreso anche per altri ambiti della vita sociale, oggi sostanzialmente dimenticati.

Visto in questa prospettiva più ampia, il destino del Reddito di Cittadinanza nell’era del governo Draghi preoccupa ancor meno: il tema del contrasto alla povertà ormai non è più negato né ignorato, ma stabilmente percepito nella sua centralità. La vera rivoluzione è accaduta, quasi in sordina, nel corso dello scorso decennio. Ora, dopo la grave crisi sanitaria ed economica che ha colpito il mondo intero, il tema per il nostro paese non è se uno strumento contro la povertà debba esserci, ma come tramite quello non restare indietro nelle risposte davanti al moltiplicarsi delle necessità. Come dunque modificare gli strumenti per renderli più efficaci. A Mario Draghi  e al suo governo l’onere di trovare la sintesi migliore.

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