“Matti per il calcio”, quando lo sport aiuta il disagio mentale
ROMA – Per qualcuno rappresenta la possibilità di uscire da una situazione di disagio, per altri una valvola di sfogo, per altri ancora uno strumento per favorire la socialità e il divertimento. Lo sport è un ottimo alleato per le persone con disturbi psichici. Lo sanno bene gli organizzatori di “Matti per il calcio”, l’annuale manifestazione sportiva che porta in campo i malati mentali e i loro operatori in un torneo di calcio a squadre. Giunto alla settima edizione, raccoglie di anno le storie di chi è riuscito, grazie all’attività sportiva, a garantirsi un percorso in autonomia. C’è chi dopo essere entrato nella manifestazione come paziente oggi è responsabile di una polisportiva, o chi è diventato arbitro in un campionato.
“Si curano e giocano – racconta Simone Pacciani, vicepresidente nazionale Uisp (Unione italiana sport per tutti), che segue l’iniziativa dalla sua prima edizione -. Su questi ragazzi lo sport incide in modo positivo, e i miglioramenti si vedono. Stanno meglio, interagiscono in modo più naturale coi compagni”. Giocare a calcio per molti è una valvola di sfogo, e far parte di una squadra aiuta a non sentirsi esclusi. “Per alcuni la vita è cambiata con una reale possibilità di uscire dal tunnel –spiega - per altri la possibilità di uscire completamente non ci sarà mai ma questa attività permette di migliorare tanto”.
Il fischio d’inizio dell’edizione 2013 è previsto giovedì prossimo a Montalto Di Castro, cittadina in provincia di Viterbo. Scenderanno in campo 16 squadre provenienti da tutta Italia, composte da persone con disagio mentale, medici e operatori. Tra queste “Va pensiero” di Parma, già vincitrice del torneo nel 2008. “Partecipiamo dal 2007 a questa iniziativa perché ne vediamo i benefici sui nostri ragazzi –racconta Giulio Cavalli, operatore e infermiere - Giocando a calcio aumentano le relazioni e questo è importante in famiglia ma anche nel mondo del lavoro. C’erano alcuni dei nostri pazienti che passavano giornate intere chiusi in casa, oggi hanno trovato degli amici. Tra lorosi sviluppa anche un senso di aggregazione un clima di confronto e scambio, in cui nessuno critica gli altri – continua Cavalli - In campo poi non c’è differenza tra paziente e infermiere, e questo li fa sentire accettati.”. (ec)