7 luglio 2015 ore: 14:08
Non profit

E’ morto Luca Rastello. Con "I buoni" ha denunciato i professionisti del non profit

Il ricordo di don Vinicio Albanesi: "Uno scrittore vero, che pareva disinteressarsi alle piccolezze della vita". Lo scorso anno pubblicò "I buoni", romanzo-denuncia sul mondo del volontariato di professione. Che gli costò parole al vetriolo su tante recensioni
Luca Rastello. Giornalista

Luca Rastello

MILANO - Se n'è andato uno "scrittore vero", come lo ricorda don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco. Luca Rastello è scomparso il 6 luglio a Torino, città dove era nato nel 1961. Dal 2006 combatteva un cancro al fegato. Tanti gli intellettuali che dalle pagine dei giornali ricordano la sua penna, scoperta negli anni Ottanta da Goffredo Fofi, allora direttore de L'Indice. Ha lavorato a Narcomafie, Osservatorio Balcani e Caucaso, a Diario, a La Repubblica Milano e Torino. L'amore per la ex Jugoslavia è esploso con gli anni Novanta, durante il conflitto, raccontato nel saggio-narrazione “La guerra in casa”, del 1998. E poi sono arrivati “Io sono il mercato” (Chiarelettere, sul narcotraffico) e “La frontiera addosso” (Laterza, sui diritti dei rifugiati) e “Binario morto” (Chiarelettere, sulla Tav).

Il suo primo romanzo s'intitola “Piove all'insù” a lo ha pubblicato Bollati Bordigheri nel 2006. Il secondo, “I buoni”, è edito da Chiarelettere nel 2014. E ad aprile di quell'anno sono state numerose e virulente le polemiche a seguito di quel racconto che partiva dalla vicenda sfortunata di un gruppo di ragazze che volevano lavorare nell'ambiente del volontariato e della cooperazione. Ne ha parlato anche Redattore sociale, in una recensione. E così il romanzo è stato letto come una denuncia del volontariato "di professione". "Nell'intervista che ci rilasciò a Roma alla presentazione del libro – ricorda don Vinicio Albanesi – non ha mai dato di aver scritto una storia anti qualcuno. È partito dalla storia di quelle ragazze per raccontare chi vive e lavora in quel mondo, cosa che a lui interessava". Don Albanesi descrive l'impressione che gli fece l'autore: "Pareva camminare sollevato da terra, come se non si curasse delle piccolezze della vita. Non so se fosse un atteggiamento legato alla malattia, di cui non ci parlò mai, oppure fosse il suo modo di leggere la realtà".

Dopo "I buoni" fu un susseguirsi di commenti al vetriolo, soprattutto per la scelta, vile secondo i detrattori, dell'espediente del romanzo. "Ma da scrittore è pure il linguaggio, difficile da seguire, scelto dall'autore", sottolinea don Albanesi. Forse sarebbe stato impossibile scoperchiare l'argomento con armi diverse da quelle del romanziere. Tra i motivi della polemica ci fu che uno dei personaggi, don Silvano, era tale e quale don Luigi Ciotti di Libera, con cui Rastello aveva lavorato in passato. Tra le reazioni più dure ci fu quella di Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di Libera, il 30 marzo 2014: "Ma è possibile fare un libro del genere e nascondersi dietro l’espediente del romanzo, quando i protagonisti non solo sono riconoscibilissimi, ma si fa di tutto perché siano riconoscibilissimi? (...) Qui c’è l’intenzione di colpire, e di colpire durissimo, di distruggere cinquant’anni di vita di una persona, ma non ce se ne prende la responsabilità".

La risposta di Rastello, affidata ad un lettera inviata al Fatto quotidiano: "Quando ho voluto fare inchiesta (che fosse su guerra, mafia, narcotraffico, alta velocità, servizi segreti o serial killer) l’ho fatta, guardando tutti negli occhi e facendo i nomi delle persone coinvolte, a chiarissime lettere. (...) La scelta di scrivere un romanzo è tutt’altra cosa: è la scelta di affrontare temi generali, se non universali, che riguardano prima di tutto i lati oscuri di chi scrive. Ho voluto raccontare un male che è ovunque e che io per primo porto dentro (se c’è un personaggio a chiave ne “I buoni” è forse il solo Andrea, costruito su di me e sulle mie potenzialità più negative). Credo che una condizione decisiva per scrivere qualcosa di interessante, oltre che di moralmente sorvegliato, sia partire sempre dall’analisi impietosa di se stesso. Così, ascoltando la lezione di giganti a cui non intendo paragonarmi, posso dire ad alta voce e a fronte alta: Don Silvano sono io. E credo che Don Silvano lo siamo tutti, almeno in potenza, non importa se personaggi pubblici e privati".

"Non c'è stata vera discussione dopo il romanzo", dice don Albanesi. Solo polemiche. C'è qualcosa di ineludibile, però, che emerge nel fondo del libro: "I fondatori carismatici stanno scomparendo, per motivi di età. È difficile oggi che si incroci un fondatore che gestisce tutto: ha prevalso un nuovo modello, il mondo è tutto diverso. E da un po' non sono venute fuori grandi passioni". Questa mancanza di spinta "dei buoni" merita una riflessione. Come quella di Rastello. (lb)

L'intervento di Luca Rastello al seminario Redattore sociale del 2014 "Miseria e Nobiltà"

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