Effetti del decreto sicurezza: a Bologna i primi 2 casi gestiti dai servizi del Comune
BOLOGNA – Una mamma richiedente asilo la cui situazione è stata giudicata incompatibile con l'hub di via Mattei e con i Cas ma che, per effetto del Decreto sicurezza, non può entrare nello Sprar. Una famiglia con 3 bambini in uscita da un Cas di Catania, con un permesso di protezione umanitaria status che, sempre in seguito all'approvazione del Decreto sicurezza, non esiste più. Sono i primi 2 casi presi in carico dai servizi sociali del Comune di Bologna riportati da Giuliano Barigazzi, presidente della Conferenza territoriale sociale e sanitaria metropolitana, in occasione della Conferenza metropolitana dei sindaci sul tema degli effetti del Decreto sicurezza sul sistema di accoglienza del territorio: “Lo Sprar è l'unico sistema che avvia le persone alla vita autonoma e regolare, il nuovo sistema invece si basa su respingimenti e poca accoglienza”. Ritornando ai 2 casi citati, la madre ha fatto la richiesta di asilo quindi sulla base della nuova normativa non può entrare nello Sprar ma la presenza del minore non è compatibile con Cas di grandi dimensioni o con l'hub di prima accoglienza. Nel secondo caso, l'effetto è dovuto al fatto che il Decreto sicurezza non consente più l'iscrizione anagrafica. “La famiglia è stata collocata a spese dei servizi perché non lasciamo i minori in strada – ha precisato Barigazzi – L'impossibilità dell'iscrizione anagrafica, e quindi di avere la residenza, porterà più persone a spostarsi verso aree urbane di grandi dimensioni perché i Comuni possono farsene carico, con un impatto sui servizi sanitari e non permette di ricollocarle nel territorio di provenienza”.
Prospettive di restringimento dello Sprar, bandi per Cas di grandi dimensioni ma con meno risorse, il tema dei vulnerabili. Sono alcune delle preoccupazioni portate da Barigazzi alla Conferenza metropolitana dei sindaci. “Il decreto è complicato e avrà bisogno di decreti applicativi per capire come ci si dovrà muovere, ma è certo che il sistema di accoglienza diffusa che abbiamo costruito con l'obiettivo dell'integrazione non potrà essere conservato così com'è”. L'accoglienza sarà suddivisa tra Cas e Sprar, quest'ultimo ridimensionato, “e in mezzo ci saranno persone che non sanno dove andare – ha continuato Barigazzi – come i 'casi speciali' che avranno permessi rinnovabili ma non convertibili, i vulnerabili che non hanno lo status per entrare nello Sprar, non possono stare nei Cas e che quindi graveranno sui Comuni, i nuclei con bisogni indifferibili urgenti provenienti da altri territori, i neomaggiorenni”. Al 30 novembre sono 2.328 le persone accolte nel territorio metropolitano, di cui 870 nei Cas, 953 nello Sprar adulti, 212 nello Sprar minori e strutture Fami Samb, 243 nell'hub regionale di via Mattei, 50 nell'hub per minori non accompagnati. Al 12 novembre su 825 beneficiari dello Sprar adulti, 367 sono richiedenti asilo, 214 hanno la protezione umanitaria, 143 sono ricorrenti, 83 sono rifugiati e 18 hanno la protezione sussidiaria. “Chi ha la protezione sussidiaria e i rifugiati rimarranno nello Sprar e alcuni con l'umanitaria se converti in casi speciali o protezione speciale, gli altri non vi potranno rimanere”, ha detto Barigazzi, precisando che i percorsi Sprar verranno portati a termine.
Altri temi sono quelli dei bandi per i nuovi Cas. A fine novembre sono stati 625 i percorsi di formazione e tirocinio attivati nello Sprar metropolitano, “ma con le risorse diminuite sarà impossibile fare qualsiasi cosa, vitto e alloggio bene che vada”, ha affermato Barigazzi. Attualmente sono una sessantina i Cas attivi sul territorio metropolitano di Bologna, tutti di piccole dimensioni, “ma con i nuovi bandi non sappiamo cosa succederà – ha aggiunto – Chi ha strutture di grandi dimensioni le metterà a disposizione con tutti i problemi che comporta concentrare tante persone in una struttura e senza interventi socio-sanitari, che ricadranno sui Comuni”. Il decreto poi punta molto ai rimpatri veloci ma rispetto all'anno scorso “sono diminuiti”, ha precisato Barigazzi citando i dati dell'Ispi.
Le sue proposte sono quelle di consolidare la governance metropolitana e non lasciare soli i Comuni, un coordinamento interistituzionale con Prefettura, Questura, Asl con la regia di Comune e Asp, il coinvolgimento della Rete di accoglienza, un coordinamento tra i soggetti che si occupano di lavoro. “Ci sono molte incognite ma dobbiamo reagire e conservare quanto di meglio abbiamo fatto”.
Tra gli interventi, famiglie accoglienti, sindacati, operatori dell'accoglienza, sindaci del territorio. “Le novità toglieranno risorse a quanto si è costruito – ha detto Giacomo Rossi del Consorzio Arcolaio che si occupa di accoglienza – Dovremo rispondere a nuovi bisogni sociali e noi mettiamo a disposizione le nostre professionalità”. Il sindaco di Casalecchio, Massimo Bosso, ha parlato di “norma sbagliata e complicata” e ha invitato “a impegnarsi a modificarla e non solo a tamponarne gli effetti, anche incalzando il ministero”. Maurizio Lunghi, segretario generale della Cgil di Bologna, ha definito l'applicazione del Decreto sicurezza “una bomba a orologeria che può portare a conseguenze complicate da gestire”. Il sindaco di Castello d'Argile, Michele Giovannini, ha richiamato alla necessità di “fare squadra” e ha affermato che “il decreto mette in discussione il modello di accoglienza diffusa basata sullo Sprar, l'unico che ha funzionato, e rispetto al quale i nostri territori hanno tante storie da raccontare in termini di integrazione. Questo decreto fa fare passi indietro in termini di umanità e mette persone fragili in strada, rendendole facili preda di lavoro nero e criminalità”. Tiziano, operatore dell'accoglienza di Adl Cobas, ha ricordato l'ordine del giorno approvato un mese fa con cui il Consiglio comunale di Bologna sospendeva l'applicazione del Decreto sicurezza e ha chiesto al Comune “un atto di coraggio per mettere in campo atti di disobbedienza civile, ad esempio sulla questione dell'iscrizione anagrafica perché senza la residenza non si può fare nulla”. (lp)