Eugenio, Anna e gli altri: l’housing sociale funziona e ricostruisce legami
- RIMINI – Dopo una prima fase di sperimentazione l’Housing first a Rimini va a configurarsi come una realtà strutturata. La giunta rinnova infatti per il prossimo triennio, con uno stanziamento da 70.000 euro, il progetto innovativo di housing sociale che ha fin qui visto transitare 10 persone. Tra cui Eugenio e Anna. Le cui storie, commenta il vicesindaco Gloria Lisi, “testimoniano come anche sul lavoro di strada, con l’emarginazione grave, vi sia sempre una possibilità di riscatto”.
Housing first si configura come un progetto innovativo di housing sociale che inverte i canoni formali dell’assistenza, partendo dall'abitazione ai senza dimora stanziali sul territorio. Così si offre la possibilità di riappropriarsi dello status di cittadini, sia dal punto di vista strettamente amministrativo che da quello più generale di sentirsi membri di una comunità. Insomma, “la casa come punto di partenza di un percorso individuale verso l’autonomia”. Tra la decina di senza dimora transitati nel progetto, c’è chi ha riscattato il proprio stato di salute, chi si è disintossicato, chi ha trovato la forza di riallacciare rapporti famigliari e chi ha potuto per la prima volta ottenere assistenza sociale e interventi sanitari.
Eugenio era abituato a una vita trascorsa dentro e fuori l’ospedale di Rimini, tra problemi di salute, solitudine e isolamento esistenziale. Era sposato ed ha figli ma con la separazione nel 1996 è partita una “graduale e terribile discesa negli abissi dell’emarginazione”. Si trasferisce nella città di Fellini e la dipendenza da alcol lo costringe a frequenti ricoveri ospedalieri. Quando lo dimettono lui si ferma fuori dalla porta di ingresso e dorme lì o poco più in là, cercando qualche spicciolo da chi si ferma a parcheggiare. I volontari dell’associazione Papa Giovanni XXIII riescono però a inserirlo in una abitazione, assistendolo ma lavorando anche e soprattutto sulla sua autonomia. Eugenio prende fiducia, si cura, inizia un percorso sanitario per disintossicarsi, e ora gestisce in autonomia la casa, cucinando anche per i volontari. Il suo sogno è quello di poter incontrare suo nipote appena nato, anche perché con il figlio, con grande pazienza, si sono gradualmente riallacciati i rapporti.
Anna, badante dell’Est, poco meno che sessantenne, in poco tempo perde marito e lavoro e precipita in una spirale di solitudine e alcol fino a ritrovarsi a vivere per strada. Finché viene accolta alla “Capanna di Betlemme”. Le viene offerta la possibilità di una abitazione autonoma, accetta, inizia a disintossicarsi, e riprende a lavorare saltuariamente. Riprende i contatti con i figli lontani con cui aveva interrotto ogni rapporto. Grazie al progetto, inizia un percorso di autonomia, riesce a prendere la residenza e affrontare le sue condizioni sanitarie. Certo, non tutto è risolto, ma oggi Anna riesce a lavorare e sogna un giorno di rivedere i suoi figli diventati grandi, riprendendo la vita dove l’aveva lasciata andare diversi anni fa. Dunque, sottolinea Lisi, se Housing first è partito come “una scommessa, ora sta dando i primi risultati, che ci spingono a continuare e rendere più strutturato negli anni questo percorso”. Dietro alle storie di Eugenio, Anna e degli altri c’è un “impegno quotidiano di volontari, assistenti sociali, personale amministrativo e sanitario”. E Rimini “si sta scoprendo più aperta, accogliente e solidale”. (Dire)