Famiglie con la Sla, la denuncia: senza tracheotomia niente fondi
ROMA – La Sla avanza rapidamente, le condizioni di suo marito si aggravano, ma “per la regione la sua colpa è di poter ancora deglutire e respirare”. Così Pietrina Mereu, 58 anni, residente in Sardegna, denuncia la situazione che sta vivendo: con un marito da accudire ormai in tutto e solo 500 euro di accompagno come sostegno. Che però, assicura, “se ne vanno tutti per pagare le rate della stufa a pellet, che ho dovuto comprare perché lui, stando sempre fermo, soffre tanto il freddo”.
La regione Sardegna ha un progetto che si chiama 'Ritornare a casa', per il quale viene anche considerata una regione modello: un contributo economico per le famiglie che si prendono cura di un proprio caro con la Sla. “Ma quando abbiamo chiesto di accedere a questo fondo – riferisce la signora Pietrina - ci hanno risposto di no”. Perché? “Perché è solo per i malati che non respirano e non deglutiscono: mio marito ha la colpa di riuscire ancora a farlo. Insomma, ci hanno detto che senza peg e senza tracheo non abbiamo diritto a questo contributo. Ma – si chiede Pietrina – perché non viene riconosciuto il nostro bisogno? Perché ci viene negato questo aiuto? Sappiamo di altre famiglie che, lottando anche insieme ad associazioni come Aisla, sono riuscite ad ottenere ciò che chiedevano. Però io mi domando: se è un nostro diritto, perché dobbiamo ridurci a chiedere l'elemosina?”.
Per aiutarla, viene una signora, tre volte a settimana, dalle 8 alle 11, grazie alla legge 162. “Ma sapete quanto ci dà la regione per pagarla? 120 euro al mese. E io mi sento così in colpa, ogni volta che la vedo lavorare con tanta attenzione e dedizione. Ma lei viene per affetto, non certo per quei pochi soldi che la regione le concede”. Soldi che, in una famiglia come questa, davvero non bastano mai. “Mia figlia si è sposata prima ancora di trovare un lavoro, perché voleva essere accompagnata all'altare dal padre: ma la malattia è stata più veloce, gli ha tolto presto l'uso delle gambe. E all'altare l'ha accompagnata il fratello. Oggi è sposata, ma né lei né il marito hanno un lavoro”. L'altro figlio ha lavorato per tre anni, ma poi “anziché rinnovargli il contratto lo hanno rimandato a casa”. E lei, la signora Pietrina racconta: “Avevo un negozio di fiori e lavoravo bene, ma ora non posso più farlo, perché devo assistere mio marito. Ma anche perché ho anche io una brutta malattia, la diastematomielia, che mi impedisce di andare tanto in giro”.
I primi sintomi della Sla del marito si sono manifestati ad agosto 2012, “poi a novembre è iniziato il formicolio alle gambe: il mio neurologo ha subito capito di che si trattava, ci ha inviato al centro sclerosi di Cagliari e lì è stata riconosciuta la Sla. Mio marito è stato quindi mandato al Centro Sla del policlinico di Cagliari e lì, a marzo 2013, è arrivata la diagnosi”. Un colpo duro per la famiglia, che però ha potuto contare sulla “grande umanità dei medici della Asl – racconta Pietrina - Abbiamo avuto subito tutto quello che ci serviva: l'accompagno. il montascale, la carrozzina manuale, poi la carrozzina elettrica”. La malattia intanto faceva rapidamente il suo corso: oggi mio marito è paralizzato dal bacino in giù, ma anche le braccia e le mani iniziano a bloccarsi e il bacino comincia a cedere: devo fare tutto io per lui, da sbucciare la frutta a lavarlo”.
Il comune, in verità, ha offerto alla famiglia “un servizio a domicilio per lavare i malati, ma io l'ho rifiutato: almeno alla sua intimità, fin quando ce la faccio, voglio provvedere io. Quello di cui però avrei bisogno è una persona che mi aiuti ogni giorno a portare avanti la casa e svolgere le commissioni: io voglio pensare a mio marito e riesco a farlo, ma non posso fare anche tutto il resto”. (cl)