26 marzo 2015 ore: 13:54
Salute

Fibrosi cistica, "la mia vita normale e felice dopo il trapianto"

La storia di Valeria, nata con la malattia che le ha "rubato gli anni più importanti della vita". Oggi ha 45 anni, è moglie e madre. Da 18 anni ha due polmoni nuovi che le permettono di condurre un'esistenza serena
Fibrosi cistica - Valeria

Valeria

ROMA – “La fibrosi cistica mi ha rubato gli anni più importanti della mia vita”. Quando lo confida, la voce si incrina. Anche se da 18 anni ha due polmoni nuovi che le consentono di condurre un’esistenza serena, Valeria – 45 anni – è stata profondamente segnata dalla malattia. E ora può dire con soddisfazione: “Ho preso possesso della mia vita normale. La mia vita normale mi rende felice”. Non è stato sempre così: a quindici giorni dalla nascita i suoi polmoni producevano muco in abbondanza, problema che veniva curato come bronchite asmatica o pertosse. “Non crescevo molto. Mia madre mi ha portato negli ospedale di Latina, Frosinone; a tre anni sono approdata al Policlinico Umberto I, dove è arrivata la diagnosi”.  

Valeria ricorda nitidamente di essersi sempre alzata molto presto “per fare il drenaggio e pulire il muco che non mi faceva respirare durante la notte. Sono passata dalla cura antibiotica con aerosol e compresse a tre o quattro endovene al giorno di antibiotico. Mi alzavo alle 6 di mattina e mi liberavo i polmoni per tenerli puliti, ma libera non ero.

A 17 anni ho avuto un peggioramento pesante: sono diminuita di peso e ho avuto due shock anafilattici”. Anno dopo anno “diminuiva la mia indipendenza, la mia libertà. A casa avevo la sicurezza di mia madre che mi aiutava con il drenaggio, con le terapie, le endovene”.  

Caparbia e coraggiosa, a 26 anni Valeria decide di volare negli Stati Uniti: “Non mi piaceva come stavo, ogni volta che mi ricoveravo mi rendevo conto che si moriva di fibrosi cistica a 14, 15, 17 anni. All’Università di Yale, negli Stati Uniti, mi hanno prospettato di sottopormi a trapianto bipolmonare, perché il cuore stava cominciando a non sopportare il sovraccarico di lavoro”. Tornata in Italia, a gennaio ’97 ha chiesto di essere messa in lista d’attesa per il trapianto bipolmonare al Policlinico Umberto I; ha aspettato soltanto due mesi. “Sono entrata in sala operatoria sulle mie stesse gambe, lo volevo per affrontare con forza questo intervento così complesso. Mia madre, che allora aveva 52 anni, riusciva ad assistermi”. In quegli anni il trapianto di polmoni era ancora sperimentale nel nostro Paese: “Le percentuali di sopravvivenza erano basse. Ma io dicevo ai medici: ‘Fatemi questo trapianto e poi ci penso io a far funzionare i polmoni’. Preferivo cinque anni da leone, sana, a quella vita così limitata: andavo al lavoro, tornavo e mi sottoponevo al drenaggio, salivo le scale di casa aggrappata a mia madre. Volevo fare questo salto perché mi meritavo comunque di vivere”.

Dopo tre mesi dal trapianto, Valeria ha inforcato la bicicletta: pedalare fa star bene i suoi polmoni e il suo cuore. “Ho imparato a sciare, a nuotare. A tutti i costi ho voluto avere un figlio, per trarre la gioia necessaria di godermi altri anni della mia vita. Gioie che ricevo grazie a mio marito, a mia figlia Sofia, e che mi aiutano a vivere il quotidiano”. (lab)

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