11 maggio 2009 ore: 12:33
Economia

Friuli-Venezia Giulia, il reddito minimo è durato solo un anno

Oltre 8 mila domande presentate, la metà accolte. Italiano l'80% dei beneficiari. Il progetto è partito nel 2007 ma è stato revocato l'anno seguente. Messe e a nudo nuove povertà e paure

ROMA –  Oltre 8 mila domande per il reddito di base per la cittadinanza in Friuli-Venezia Giulia, circa la metà quelle accolte. Più del 55% dei beneficiari è disoccupato, ma il 20% svolge un lavoro dipendente e nonostante questo non ce la fa ad arrivare alla fine del mese, in lieve maggioranza gli uomini, single e intorno ai 50 anni. È il quadro delineato dall’esperienza friulana del reddito di base per la cittadinanza. Un breve percorso che ha messo a nudo le povertà della regione, le potenzialità di un intervento a favore delle famiglie in difficoltà economica, ma anche i suoi difetti e i possibili rischi. Previsto dalla legge regionale del 31 marzo 2006 con uno stanziamento iniziale di 36 milioni di euro per una media mensile di 510 euro a beneficiario, l’esperienza ha avuto vita breve: è durata un solo anno, con un investimento di 25,2 milioni di euro. Avviato il 5 novembre 2007 è stato revocato nell'agosto 2008 al sopraggiungere della nuova giunta di centro-destra che ha sostituito la coalizione di centro-sinistra, promotrice del provvedimento. Alla base della misura, come in tutte le altre esperienze regionali, l’integrazione tra politica sociale passiva e attiva: l’erogazione economica accompagnata da percorsi di inserimento sociale e lavorativo.

 

La paura della povertà. 4.264 beneficiari contro gli 8.361 richiedenti degli oltre 34 mila poveri stimati nella regione dall'Istat. Per accedere alla misura i beneficiari dovevano avere un reddito minimo equivalente al di sotto dei 5 mila euro l’anno. Il valore medio degli indicatori di capacità economica delle famiglie la cui domanda è stata accolta è di circa 2.900 euro. Numerosi gli indicatori di capacità economica pari a zero, il 41,7% dei beneficiari. Il fenomeno più curioso, però, viene descritto nel primo rapporto intermedio del giugno 2008, per cui tra gli aventi diritto, un buon numero di persone non ha terminato il percorso di ottenimento dell'aiuto economico. Secondo quanto afferma  lo stesso rapporto, la strana situazione è determinata in parte dalla scarsa conoscenza della nuova misura, ma anche da quelli che vengono definiti “possibili sentimenti di vergogna” da parte dei potenziali beneficiari, per il timore di essere stigmatizzati come poveri. In effetti, la ‘novità’ sta proprio nell’individuazione di una nuova tipologia di beneficiari, cioè persone che accedono per la prima volta al servizio sociale a causa di difficoltà di tipo economico.

 

Tipologia della domanda. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la maggior parte dei beneficiari del reddito sono italiani. Sono per l'80,7%, infatti, presentate da italiani le domande accolte, mentre la domanda degli stranieri al 30 aprile del 2008 era del 18,5%. Molti i single che hanno beneficiato del reddito di base. Per oltre il 42% dei beneficiari sono uomini sulla cinquantina, il 22% sono donne sotto i 40 e con figli minori a carico, le coppie con figli rappresentano quasi il 19%. Il 22% delle domande accolte riguardano invece situazioni familiari in cui sono presenti persone disabili. Tra le domande presentate e accolte a sorpresa gli anziani non rappresentano un nutrito gruppo. I beneficiari anziani non superano il 6%.

 

Condizione lavorativa. Dalle domande raccolte, risulta che i richiedenti sono per la maggior parte disoccupati e in cerca di occupazione, con il 55,8% dei beneficiari, mentre circa il 20% svolge un lavoro dipendente, il cui reddito non è sufficiente per sostenere la propria famiglia. Rientrano in questa categoria quelle persone che oltre ad essere poco retribuite, spesso hanno contratti a tempo determinato o stagionali. I dati forniti dalla regione, mettono in luce un fenomeno interessante. Dai dati del primo rapporto si può notare come il 40% delle famiglie monoparentali, spesso le sole madri con figli minori a carico rientranti nei requisiti ha un lavoro dipendente, della stessa categoria, più del 48% invece risulta disoccupato. I progetti personalizzati attivati sono stati 2.511 e quasi tutti i beneficiari hanno rispettato gli impegni presi, le revoche del reddito infatti risultano essere complessivamente del 3%. I patti di servizio, cioè la sottoscrizione di un impegno attivo nella ricerca di una occupazione con il centro per l’impiego, sono stati più di 2 mila. Coinvolti nella realizzazione del progetto 1.560 servizi e organizzazioni.

 

Pro e contro. Dal rapporto risulta come siano stati raccolti dati importanti riguardo la condizione economica delle famiglie povere, sulla possibilità effettiva di uno strumento valido per superare la condizione di povertà, ma anche il problema di un accomodamento e di una dipendenza dall’aiuto da parte dei beneficiari. La misura del reddito di base viene ritenuta come “un importante e concreto strumento di intervento che può innescare processi di cambiamento della condizione di vita del beneficiario – si legge nel rapporto -. Il reddito di base, oltre a costituire un’opportunità di superamento di una situazione di difficoltà, rappresenta un’importante opportunità di fuoriuscita da una condizione di vita complessivamente compromessa”. D’altra parte, lo stesso rapporto mette in guardia dai rischi. “L’erogazione di importi economici importanti  - spiega il  rapporto - può far scattare un effetto paradosso. Può non favorire l’adesione dei beneficiari ai percorsi progettuali proposti, rischia di demotivare le persone nella ricerca attiva di un lavoro e, indurre un rapporto di dipendenza assistenziale anche da parte dei richiedenti”. Problematiche che in un quadro d’insieme possono incidere negativamente anche sul percorso di integrazione sociale e lavorativa che il reddito di base ha come obiettivo fondamentale.(ga) (vedi lanci successivi)

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