Gaza, la storia di Intisar malata di cancro. L'aiuto della comunità israeliana
ROMA – Il cancro come la guerra tra due popoli vicini e storicamente vicini: il cancro, però, anche come occasione per parlare di riconciliazione e praticarla, attraverso un gesto di solidarietà. E’ tutto questo, la storia di Intisar, una bimba palestinese della Striscia di Gaza, giunta in Italia per la prima volta a 5 anni di età, con un cancro che le stava distruggendo il fegato. Ad organizzare e rendere possibile il suo trasferimento, fu allora l’associazione di volontariato “Angels”, grazie anche al fondo umanitario della regione Lazio per le cure dei cittadini extracomunitario. Quel fondo, oggi non c’è più, si è esaurito e non è stato ripristinato: l’associazione invece c’è ancora e, grazie all’accordo con l’Università La Sapienza e il Policlinico Umberto I, continua a farsi carico di bambini che, provenienti da zone di guerra in Medio Oriente, hanno bisogno di cure importanti, che non potrebbero ricevere nel proprio Paese. Ma c’è un altro soggetto importante e significativo, in questa catena di solidarietà che lega il Medio Oriente a Roma: è la comunità israeliana, attivata dal suo presidente, Riccardo Pacifici e oggi in prima linea nella presa in carico di Intisar e della sua famiglia. Sì, perché oggi Intisar è di nuovo a Roma, dal 9 settembre: ricoverata presso il Policlinico Umberto I per i controlli di routine, che però hanno messo in evidenza un’epatite A, da curare con particolare attenzione sul suo fegato trapiantato.
I volontari “Angels”. A ripercorrere le tre tappe della storia di Intisar in Italia è Benedetta Paravia, che nel 2006 ha composto la canzone per la pace “Angels”, da cui poi è nata l’associazione. “Abbiamo una decina di volontari distribuiti in diversi paesi poveri del Medio Oriente – riferisce – Volontari locali, che non ricevono alcun tipo di retribuzione, ma tutt’al più un sostegno economico nei momenti di maggiore bisogno. I pochi fondi che riusciamo ad avere – continua – li impieghiamo interamente per aiutare i bambini che ci vengono segnalati”. Nelle mani di Benedetta, arrivano infatti cartelle cliniche trasmesse dagli stessi volontari: “si tratta quasi sempre di casi respinti o ignorati da grandi organizzazioni: casi disperati, per così dire, che io sottopongo al gruppo di medici che collabora con noi e che poi prendiamo in carico. Copriamo le spese del viaggio, dei visti e della permanenza in Italia, mentre le spese mediche, prima coperte dal fondo regionale, ora ci vengono comunque garantite grazie all’accordo con La Sapienza e il Policlinico”.
Intisar, il primo viaggio. E il secondo E’ iniziata così anche la storia di Intisar, quattro anni fa: “giunse in Italia insieme al papà, come spere accade, visto che si tratta di famiglie musulmane: le mamme restano a casa con gli altri figli, mentre i padri affrontano il viaggio insieme al figlio malato. Così, dobbiamo e pensare a sostenere anche la famiglia che resta in patria, priva di sostentamento”. Intisar aveva un epatoplastoma e, dopo le prime cure chemioterapiche al Policlinico Umberto I e dopo 8 mesi di permanenza nella capitale, fu sottoposta al trapianto, presso il Bambino Gesù. Sfortunatamente, però, sul fegato nuovo si manifestò una recidiva: fu operata di nuovo, per la rimozione delle cellule tumorali. Dopo qualche mese, finalmente tornò a Gaza guarita. Non era però ancora il momento del lieto fine: “dopo circa un anno – racconta Paravia - mi contattarono da Gaza, spaventati dall'eccessiva perdita di peso della bimba. La facemmo tornare a Roma: era uno scheletro, con la pelle attaccata alle ossa ed un buco di drenaggio laterale allo stomaco. I medici del Bambin Gesù non erano ottimisti, perché un intervento su così un corpo così fragile era un gran rischio...Il nuovo intervento durò 8 ore, necessarie per suturare l'intestino che le era salito allo sterno. La bimba ce la fece e dopo alcuni mesi tornò a casa felice”.
Superare il cancro, costruire la pace. Arriviamo così alla storia più recente: pochi mesi fa, nel proprio mentre infuriano i bombardamenti di Gaza, Intisar ricominciò a sentirsi male: nausea e febbre alta. “Erano comunque passati quasi 2 anni dal trapianto e necessitava dei controlli di rito”, spiega Paravia. Per pagare le spese del viaggio e della permanenza, però, i soldi non ci sono: così, “chiedo aiuto al rettore della Sapienza, Luigi Frati, suggerendogli di rivolgersi a Pacifici, capo della comunità ebraica, perché con un gesto di solidarietà concreta e simbolica, venga in aiuto della bambina”. E così accade: mentre a Gaza israeliani e palestinesi continuano a combattere e a uccidersi, a Roma uniscono le forze per salvare la vita a una bambina di 9 anni. “Due famiglie ebraiche si fanno carico delle spese del viaggio e della permanenza – riferisce Paravia – Così, durante la tregua tra Palestina ed Israele, l'8 settembre la bimba, ora di 9 anni, è tornata a Roma insieme al suo papà”. Dai controlli eseguiti presso il Policlinico, risulta affetta da epatite A e “non lascerà l’Italia finché non sarà completamente guarita – conclude Paravia – E’ nelle mani dei medici del Policlinico Umberto I, stretta in una morsa di solidarietà e di pace che dovrebbe essere di lezione al mondo intero”. (cl)