2 dicembre 2016 ore: 14:41
Disabilità

Giornata della disabilità: ecco gli "obiettivi" che vogliono le mamme

E’ dedicata ai “17 obiettivi per il futuro che vogliamo” la ricorrenza di quest’anno. Ma ci sono obiettivi fondamentali che non sono nell’elenco. Ce li indicano quattro mamme: servizi per gli adulti con disabilità, riconoscimento del caregiver familiare, attuazione dei nuovi Lea e attenzione per il “dopo di loro”
Disabilità. Madre spinge carrozzina della figlia

ROMA – Si celebra domani la Giornata internazionale per i diritti delle persone con disabilità: giornata che quest’anno viene dedicata ai “17 obiettivi per il futuro che vogliamo”. Obiettivi “sostenibili. Che l’Onu ha fissato a Rio nel 2012 e che dovranno essere raggiunti entro il 2030. Obiettivi d’inclusione sociale, economica, scolastica e lavorativa. Ma quali sono gli obiettivi “mancanti” nell’elenco? Lo abbiamo chiesto a tre mamme, che quotidianamemtne vivono (o, nel caso di Angela, hanno vissuto) la disabilità e hanno quindi ben chiaro cosa ancora ci sia da fare, per rendere migliore la qualità della vita propria e dei propri figli.

- Gli adulti con disabilità intellettive “non esistono”. Marina Cometto ha una figlia adulta, ultraquarantenne, con una grave disabilità, dovuta a una malattia rara, la sindrome di Rett. “Oggi tutti in moto per far emergere questo tema, domani tutti pronti per dimenticarlo – ci dice - L’obiettivo che vorrei? L’attenzione agli adulti con disabilità, specie quelle intellettive: quando raggiungono la  la maggiore età, persone come mia figlia semplicemente non esistono più per le istituzioni, tanto più se hanno pluridisabilità: vengono vessati, dimenticati, ignorati, loro e le loro famiglie.  Ultimamente sono stati stanziati in Piemonte, con una delibera, fondi per l'autismo – riferisce ancora Cometto – Ma sono per i minori con autismo. E quando diventano maggiorenni? Tutti guariti, per le istituzioni. Mentre le famiglie avrebbero ancor più bisogno di essere sostenute, visto che la disabilità non migliora né tanto meno guarisce, anzi in molti casi peggiora con la maggiore età”.

Il riconoscimento del caregiver familiare. Maria Simona Bellini, mamma di una ragazza gravemente disabile e presidente del Coordinamento nazionale famiglie disabili, suggerisce un obiettivo che “proprio la Commissione Onu ha recentemente indicato all’Italia: i caregiver familiari devono essere finalmente equiparati ai familiari dei quali si curano, come accade in ogni altro Paese del mondo occidentale. Un'equiparazione nel diritto alla salute, al riposo e alla vita sociale, cui il caregiver familiare rinuncia per offrire una vita dignitosa al proprio caro. Ora, dopo 20 anni di richieste al Senato, ancora aspetta di essere calendarizzato, da oltre un anno, un disegno di legge, il n.2128, proprio per queste tutele. Ma nessuno a livello istituzionale si muove. Il 3 dicembre potrebbe essere l’occasione giusta per tornare a parlarne. E incamminarsi verso quest’altro, fondamentale, obiettivo”.

L’attuazione dei nuovi Lea. Tra gli obiettivi principali da centrare in Italia ci sono, per Rosi Pennino, i nuovi Lea. Lei è mamma di una bambina con autismo, lavora come sindacalista e rappresenta un’organizzazione che riunisce molte associazioni di genitori, Perlautismo. “Al governo italiano chiedo l'attuazione rapida dei Lea – dice -. Le Regioni devono metterli in pratica al più presto. Solo così ci si potrà concentrare realmente sul futuro dei disabili e non solo sulle loro emergenze. Sse facciamo funzionare i Lea,  allora finalmente faremo il salto e inizieremo ad occuparci di una questione fondamentale e troppo trascurata: l’integrazione lavorativa”.

Il “dopo di loro”, quando un figlio disabile muore. Lasciamo alla fine questo tema, drammatico e forse il più dimenticato: è quello che ci suggerisce Angela Ambrosio, che ha da poco perso sua figlia, gravemente disabile. Oggi, in occasione della Giornata per la disabilità, Angela chiede un po’ di attenzione per tutti i genitori come lei, rimasti soli dopo aver dedicato una vita all’assistenza dei propri figli e aver rinunciato, per loro, a qualsiasi altra attività, tra cui il lavoro. Allora, al dolore si unisce l’abbandono. “Subito dopo la morte di mia figlia, mi è stata tolta la pensione che percepiva. E io mi sono ritrovata così, a 50 anni, senza un lavoro, perché gli ultimi 20 anni li avevo dedicati solo a lei, senza risorse, senza supporto. Rifarei tutto, altre mille volte: rinuncerei ancora a famiglia, lavoro, casa, perché ho amato mia figlia più di me stessa, come ogni madre. Ma vorrei chiedere un po’ di attenzione anche verso il “dopo di loro”: se ce ne andiamo prima noi genitori, loro restano senza protezione. Ma se muore un figlio con disabilità a cui hai dedicato la vita, il genitore viene dimenticato e abbandonato: chiedo per noi, che viviamo questa condizione, il sostegno psicologico, sociale ed economico di cui abbiamo tanto bisogno”. (cl)

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