Giornata down, le famiglie: ''Senza volontari non c’è autonomia''
Ragazzini down con macchina fotografica
Come Otilia è venuta a Bologna anche Piera, mamma di Caterina, anche lei affetta da sindrome di Down. “Caterina ha 24 anni e ha lasciato la scuola al terzo anno dell’istituto d'arte. Si è iscritta a un centro di avviamento al lavoro, e grazie al lavoro degli educatori è riuscita a inserirsi. La disponibilità e l’impegno che si è attivato attorno a noi ha permesso a Caterina di diventare autonoma”. Grazie all’aiuto di una cooperativa di tipo B che l’ha avviata a una professione Caterina ha trovato un lavoro: di giorno è pagata attraverso una borsa lavoro, di sera con un regolare contratto di 12 ore a settimana. “Quando torna a casa a volte ci racconta del ristorante pieno e delle 50 persone che ha dovuto servire. È molto orgogliosa e ha fiducia in sé stessa”.
La storia di Caterina è una delle tante storie di chi è riuscito a superare la propria disabilità, storie sparse qua e là ma aiutate e tenute in vita dal lavorio incessante delle associazioni di genitori e volontari. Uno dei progetti messi in campo per spingere verso l’integrazione delle persone Down è “Amico”, un percorso avviato con 13 ragazzi del Liceo Fermi di Bologna e con altri 5 ragazzi di un istituto privato cittadino. “Amico” è un progetto dell’associazione Grd, Genitori di ragazzi Down. “Siamo partiti con un’assemblea nell’aula magna del liceo – spiega un genitore dell’associazione – Un modo per sensibilizzare tutta la scuola, insegnanti compresi. Poi però abbiamo chiesto ai ragazzi di dare la propria disponibilità e alcuni di loro hanno scelto di dedicare del proprio tempo a chi è affetto da sindrome di Down. Un momento di crescita culturale e umana per loro, un modo per aumentare l’integrazione in classe e ridurre la solitudine che i ragazzi down sperimentano una volta usciti da scuola, soprattutto alle superiori”. Altro progetto è quello dell’associazione Centro 21 di San Lazzaro. “Fare Uno è un’idea che nasce da uno spettacolo che vuole creare nello spettatore e nell’attore consapevolezza delle proprie potenzialità e capacità di migliorare sé stessi. Grazie a Fare Uno – spiega una volontaria dell’associazione Centro 21 – ora i ragazzi con sindrome di Down sono stati in grado di affrontare un copione complesso per il loro spettacolo, senza semplificazioni e scorciatoie. Metterli di fronte a problemi superabili li aiuta a trovare fiducia e a crescere”. (giovanni stinco)