Giovani autistici a cavallo, “se cambia il punto di vista, cambia concetto di disabilità”
ROMA – E’ una la riflessione che prima di tutte s’impone a chi sta vivendo questa esperienza, la cavalcata degli 11 ragazzi con autismo oggi arrivati ad Amelia: sembra che rispondano a livello ancestrale al richiamo della natura e ne traggano benefici importanti. “Non l’abbiamo scoperto, oggi, ma davvero qui prende corpo il concetto che siamo parte integrante della natura. Cambia l’ottica, e all’improvviso è come se quelli di noi, i tanti di noi, che sono andati a vivere in città siano loro ad essere strani. Se cambia il punto di vista, cambia il concetto di disabilità”. Le parole sono di Federica Bochicchio, psicoterapeuta che “con coraggio”, come dice ridendo, ha aderito all’idea della cavalcata dell’associazione “L’emozione non ha voce”, idea – come spiega - nata da un operatore dell’Anpet (Associazione nazionale pet e terapia) insieme a un genitore, Fausto Linari. Bochicchio si occupa di tutta l’organizzazione e del coordinamento generale e a lei chiediamo, al quinto giorno di cammino, cosa sta succedendo tra i boschi di Lazio e Umbria. “Dopo 5 giorni di contatto estremo con la natura, con 4-5 ore di seguito in cui vediamo solo campagna, si può dire le stereotipie dell’autismo in questi ragazzi non ci sono più quando solo sul cavallo. Questo nonostante lo stress dovuto al caldo, al caschetto e alla tartaruga su dorso e addome, allo sforzo. I visi sono rilassati, sono sereni ma attenti, guardano il paesaggio, prendono l’acqua e il panino dalla bisaccia ai lati del cavallo in maniera autonoma già dal secondo giorno, dimostrano manualità e dimestichezza di movimenti corporei. Gli stessi operatori che li accompagnano si dicono colpiti, commossi, inteneriti”.
Se si devono girare le redini a destra, i ragazzi eseguono, non sono oppositivi come invece sono, e fortemente, nelle stanze in cui fanno terapia, in città: “E’ così dalla prima tappa, da quando sono saliti a cavallo. Nessuno ha fatto lagne né ha urlato, nessuno ha dato botte. Quando li si vede passare a cavallo, nessuno si accorgerebbe che hanno una diagnosi di autismo perché non hanno gesti incontrollati. C’è molto da ragionare, su questa esperienza… Lo so che sabato, appena rientreranno a Roma, ricominceranno tutte le stereotipie”. Anche durante altre vacanze si assiste a un cambiamento, poi al rientro tutto torna come prima e “rivederli così è duro anche per noi”, dice Bochicchio. “Certo non si perde tutto – precisa la psicoterapeuta -, ma questi ragazzi particolari, iper-sensibili, con emotività affiorata, avrebbero bisogno del contatto costante con la natura. Non è tanto la città, il problema: è il modo di vita della città, la mamma che corre, il papà isterico, famiglie dove non c’è tempo nemmeno per insegnare al figlio a lavarsi i denti. Qui facciamo tutto con calma, non importa se a mettersi i calzini ci vuole mezz’ora e a lavarsi i denti 40 minuti: dandogli tempo loro ci riescono, dimostrando tutto il loro livello di attenzione”. Anche quando mamme e papà li chiamano, la sera, al telefono, i ragazzi non manifestano crisi di nostalgia, anche se di certo la famiglia gli manca e a quasi tutti viene l’occhio lucido.
Oggi pomeriggio sono ad Avigliano Umbro nella piscina di Giulio Rapetti, in arte Mogol, nella sua Tenuta dei ciclamini, relais immerso nel verde. I cavalli sono fermi alla “stazione di posta” ad Amelia, da dove domani con loro cavalcherà anche Mogol per raggiungere di nuovo la Tenuta: qui saranno ospiti ancora fino a sabato, quando arriveranno tutti i genitori e si starà a pranzo insieme. E’ da un paio d’anni – ci racconta Federica Bochicchio - che Mogol e sua moglie, Daniela Gimmelli, ospitano qui il gruppo di ragazzi autistici per le vacanze invernali durante le quali hanno a disposizione cavalli, palestra e piscina e la natura incontaminata. Ora c’è un’idea che “prima o poi, forse entro un anno, si realizzerà: l’idea di Daniela e Giulio è di far diventare un’ala del relais sede di una fattoria sociale. Hanno visto che questi ragazzi qui stanno benissimo e la struttura dovrebbe rappresentare un luogo per quando i genitori non ci saranno più, un ‘dopo di noi’. Il nostro consiglio – prosegue Bochicchio – è di iniziare con un centro diurno”. I giovani saranno impegnati nel compostaggio, nella raccolta di frutta e di olive e di erbe medicinali che potrebbero confezionare e vendere con il marchio “L’emozione non ha voce”. (ep)