Giovanni Impastato ricorda Peppino. Nella ''Casa Memoria'' gli oggetti del suo impegno
Peppino Impastato
MARINA DI CINISI – Una t-shirt nera e semplice, il volto tirato ma luminoso, loquace, aperto e attento alle domande che giungono dai giovani e meno giovani, volontari presso il campo di lavoro e formazione promosso da “Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” e organizzato dalla cooperativa “Libera-Mente” a Cinisi in provincia di Palermo: è Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, ucciso 35 anni fa dalla mafia in un attentato dinamitardo. A Peppino è dedicata “Casa Memoria”, la sua casa di origine, museo aperto al territorio subito dopo la morte di sua madre Felicia nel 2004: la macchina fotografica, le scalette della trasmissione di Radio Aut “Onda pazza”, le prime pagine della rivista “L’idea”, gli articoli e le interviste che hanno caratterizzato la vita, breve, di questo giovane che “non era solo un giornalista e un attivista politico – ha detto il fratello Giovanni – ma un’artista. Una persona che sapeva capire prima i cambiamenti in atto nella società”.
“Casa Memoria l’abbiamo voluta noi – ha raccontato Giovanni Impastato -, raccogliendo il desiderio di nostra madre. Casa Memoria però nasce prima, quando Peppino muore. Viene fatto saltare in aria. “Peppino è sangue pazzo, ma è uno di noi” disse un cugino americano, ma mia madre disse che no, non era uno di loro e non volle alcuna vendetta. Una risposta culturale di forte rottura con la mentalità del tempo, mentalità tenace che ha permesso di tenere poi viva la memoria. Il messaggio è di rottura, ma anche educativo”. “Peppino è stato anche mitizzato, ma va riconosciuto – ha continuato ancora Giovanni - che era un ragazzo animato da una grande voglia di giustizia e legalità. Era spregiudicato in senso positivo. Da giovani abbiamo vissuto a contatto con la natura e con la mafia. In quel contesto, in quegli anni, in quei luoghi, natura e mafia vivevano insieme e ci sembravano entrambe cose belle. Un senso di bellezza e di protezione. Si mangiava sotto gli alberi. Cose genuine. Con papà e nostro zio”. Lo zio, appunto. Cesare Manzella, saltato in aria anche lui. Da allora, quella cartolina di pace e natura diventa i bianco e nero, sfuocata. Lì finisce l’infanzia dei fratelli Impastato. Lì Peppino per primo capisce che la mafia non è una cosa buona, ma “una cosa che ci faceva male”. “Se questa è mafia – ha detto Giovanni raccontando la reazione di uso fratello Peppino – io per tutta la vita combatterò contro”.
E’ il 1965 e Peppino fonda il giornale “L’Idea”: fogli dattiloscritti a mano e ciclostilati in cui il giovane siciliano denunciava le convivenze tra le famiglie mafiose e gli amministratori locali. Portato in Tribunale e condannato, per assurdità su un articolo in cui denunciava la mancanza di un capo di pallone per i giovani di Cinisi, Peppino si riorganizza. Stavolta con le macchine fotografiche. Denuncia lo scempio urbanistico del so territorio: complessi turistici che bloccano l’accesso al mare, costruzioni abusive, curve sulle strade a uso e consumo delle abitazioni dei boss. “Il rapporto con mio fratello era difficile, anzi difficilissimo. Condividevo le sue idee, ma non i suoi metodi di scontro diretto con la mafia. Lo scontro diretto allora significava farsi sparare addosso”
“Il suo impegno – ha sottolineato infine Giovanni – andò poi di pari passo con la militanza politica. Scelse la sinistra extraparlamentare. Fonda il circolo “Musica e cultura”: una perla, una realtà umana e culturale che ha arricchito Cinisi. Peppino e i suoi amici avevano capito che l’arte era un buon veicolo per comunicare idee e valori. Nel circolo, anche le ragazze: una vera rivoluzione culturale per il paese. Un progresso sociale reale. Radio Aut è l’evoluzione di questo percorso. La radio arrivava direttamente nelle case e metteva seriamente in difficoltà i boss”. Liberi di ascoltare e liberi di trasmettere: con la trasmissione “Onda Pazza”, Peppino scopre l’ironia e ridicolizza tutto. Si candida con Democrazia Proletaria, ma cinque giorni prima del voto, il 5 maggio del 1978, viene fatto saltare in aria. “Per mia madre – ha poi concluso – non è stato facile. Non chiedere vendetta, ma giustizia, le è costato l’isolamento. Da parte dei boss, e da parte del paese. Doveva stare zitta. E’ stata dura, ma in quell’isolamento abbiamo conosciuto persone che ci hanno aiutato: il procuratore capo della Repubblica Gaetano Costa, il giudice Rocco Tinnici, Caponnetto e Giovanni Falcone. Punti di riferimento ieri, come oggi”.