15 novembre 2016 ore: 14:29
Giustizia

Giustizia minorile, storie di giovani che hanno intrapreso un percorso di mediazione penale

Attraverso la mediazione penale si può ridare dignità alle vittime e aiutare allo stesso tempo i responsabili del reato a capire il gesto che hanno commesso. Ne hanno parlato mediatori ed educatori durante l’incontro promosso dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, alla Camera dei Deputati
Mediazione, stretta di mano tra adulto e ragazzo

ROMA - “L’altro giorno ho sfogliato un mio vecchio diario. Alla data del 4 marzo 2014 avevo disegnato coltelli, teschi, cuori, falci e martelli e scritto una parola: mediazione”. Inizia così la lettera che Simona, una ragazza di Palermo in carcere per aver aggredito alcuni agenti, ha inviato all’ufficio mediazione penale di Palermo. “All’epoca non sapevo cosa mi aspettava. Avevo 17 anni, mi trovavo in un posto in cui non volevo stare, alle spalle tanti sogni, tanta rabbia e una vita movimentata. Quel giorno ho incollato sulla pagina del mio diario questa definizione: mediazione significa riconoscere la lotta che ognuno combatte contro se stesso. Sta qui il senso che il percorso che ho intrapreso. È stato un momento di sfida e di crescita personale, una lotta contro me stessa. Ho vinto il mio orgoglio che mi vietava di discutere con gli uomini delle forze dell’ordine. Mi sono seduta di fronte a quattro funzionari di polizia: ho sfatato alcuni pregiudizi, altri sono rimasti. La mediazione penale non è stato un tentativo di ricondurmi dalla cattiva alla retta via o di modificare le miei idee. Ma mi ha permesso di superare le barriere interiori nei confronti di chi non la pensa come me”. Simona è sola una dei tanti ragazzi che Elio Lo Cascio, mediatore penale dell’Istituto Don Calabria Ufficio mediazione penale di Palermo, ha seguito nel corso degli anni. Durante l’incontro promosso dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, alla Camera dei Deputati, dal titolo “Dal Conflitto al rispetto: verso una cultura della mediazione”, mediatori ed educatori si sono confrontati sull’importanza della mediazione in ambito penale.

“L’obiettivo della mediazione non è il perdono ma è quello di dare spazio a chi deve urlare il proprio dolore. Il tribunale non riesce a trattare i risvolti intimi di dolori umani. Noi non vogliamo sostituirci alla giustizia ma affiancarla e superare gli effetti distruttivi del reato. La giustizia riparatoria permette alla vittima e all’autore del reato di risolvere le questioni nate dal torto subito grazie all’aiuto del mediatore”.

Anche Marco, nome di fantasia, ha scritto all’ufficio di mediazione di Palermo dopo aver subito un furto. “Sono un poliziotto ma la prima cosa che ho provato è stata debolezza. Poi ti chiedi: “Perché proprio a me?”. Non riuscivo ad accettarlo. Non c’è solo la perdita economica ma anche quella affettiva: mi hanno rubato le foto di mia nonna, i regali per la mia famiglia, il mio computer dove avevo tutti i ricordi d’infanzia. Ma la cosa che mi ha più scioccato è stato il furto della divisa. Fa parte di me, è il mio pane quotidiano. La porto con onore e il pensiero di cosa ne hanno fatto non va via. Ci può essere mediazione con queste persone che si saranno già dimenticate di quello che hanno commesso? Vorrei poterli incontrare per dire loro che quel momento io non lo dimenticherò mai”. Per Lo Cascio la mediazione ha l’obiettivo di prendersi cura della vittima. “La giustizia non soddisfa le vittime, la loro rabbia non è colmata. Noi facciamo in modo che chi ha commosso il reato diventi responsabile nei conforti di una persona in carne ed ossa e comprenda la sofferenza che ha causato”.  

Filippo è un ragazzo dell’Istituto penale Malaspina. Ha alle spalle un passato di abusi sessuali, sua nonna e sua madre si prostituivano e lui ha abbandonato la scuola a dieci anni. È finito in carcere per rapina. “Siamo riusciti a coinvolgerlo in un percorso di mediazione - ha raccontato Lo Cascio -, al termine del quale ha incontrato una delle persone che aveva rapinato e ha inviato una lettera ad una altra signora che non aveva potuto vedere di persona”.  Filippo ha scritto scrive: “Ho capito che ho sbagliato tantissimo. Non mi interessava se gli altri soffrivano, mi interessavano solo i soldi. In carcere ho capito che il denaro non è più importante delle persone e che gli altri non meritano di soffrire per causa mia. Le chiedo perdono. Quando uscirò dal carcere spero di chiederle scusa di presenza”.

In tutte le vittime emerge un bisogno di raccontare l’esperienza vissuta, mentre in cui commette il reato c’è l’esigenza di comprendere cosa si nasconde dietro a quello che hanno commesso. “La cultura della mediazione fatica ad affermarsi ma noi dobbiamo cercare di diffonderla il più possibile per il bene della nostra comunità”, ha concluso Lo Cascio.

Per Daniele Novara, pedagogista e direttore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, che ha partecipato all’incontro: “Colpevolizzare un ragazzo è un errore gravissimo. Chi compie delle prepotenze o si comporta da bullo altro non è che una persona che non ha mai imparato a litigare fuori dallo schema ‘vincitori e perdenti’. Non ha accesso alle proprie emozioni. Per questo dobbiamo insegnare loro a gestire i propri conflitti nel rispetto dell’altro”. (mgl) 

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