Giustizia, "per una vera riforma educare i cittadini prima dei detenuti”
ROMA – E’ iniziato oggi in commissione Giustizia, alla Camera dei Deputati, l’esame dei decreti delegati attraverso i quali si sta tentando di riformare il sistema dell’esecuzione penale italiana: un percorso delicato e travagliato, iniziato 3 anni fa con gli Stati generali, e impegnato ora in quella che appare sempre più come una corsa ad ostali. Una direzione, quella indicata dai giuristi, con la quale si vuole restituire dignità al sistema penitenziario e sicurezza al Paese attraverso una serie di modifiche che vedono in primo piano l’ampliamento delle misure alternative al carcere, l’eliminazione degli automatismi e delle preclusioni nel trattamento penitenziario, la riforma dell’assistenza sanitaria, la riorganizzazione della vita detentiva e il ruolo del volontariato. Mentre restano per ora fuori dai giochi le proposte in tema di lavoro e di affettività. In “lista d’attesa”, invece, quelle su minori e giustizia riparativa che potrebbero essere veicolate dalla riforma.
A 25 giorni dall’approvazione in Consiglio dei ministri, i decreti sono arrivati dunque alle commissioni Giustizia di Camera e Senato che ora avranno 45 giorni di tempo per esprimere i propri pareri.
“Questi decreti – commenta l’avvocato Roberto Polidoro, responsabile dell’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere penali, componente della Commissione Giostra, sull’ordinamento penitenziario - rappresentano sicuramente un passo avanti in una riforma molto importante che dal 1975, data in cui è entrato in vigore il nostro ordinamento penitenziario, mancava. Rappresentano un piccolo passo avanti perché si poteva fare molto di più: i decreti che sono passati al Consiglio dei ministri mancano, tra l’altro, di tutto il lavoro fatto dalle commissioni in tema di affettività e lavoro che sono due pilastri della rieducazione. L’affettività perché il rapporto con la famiglia è fondamentale. E il lavoro perché è un elemento importantissimo della riabilitazione”.
C’è possibilità di recuperare in qualche modo questi due elementi?
“Al momento sono fermi, ci è stato detto, per problemi di bilancio. Però ora la legge di bilancio è passata e si potrebbe anche riprendere il discorso perché sembra ci sia stato qualche stanziamento anche per l’ordinamento penitenziario. Si potrebbe recuperare questo lavoro, farlo approvare dal Consiglio dei ministri, nonostante siano state sciolte le Camere la cosa si può fare, e far andare in coda a quello che ora è in esame anche questi due importantissimi elementi. Altrimenti avremo una riformina. Per chi si occupa di carcere come me ormai da 30 anni, è sempre qualcosa. Ma diciamo che si poteva fare molto di più”.
Quali sono i punti di rilievo della riforma?
“Tra i principali ci sono sicuramente la sospensione della pena che oggi è a 3 anni, e con la riforma può arrivare fino a 4. Un maggiore accesso alle misure alternative al carcere, evitando alcuni automatismi e preclusioni. E la semplificazione delle procedure, con cui si è cercato di liberare la magistratura di sorveglianza da una serie di incombenze: alcune competenze del tribunale di sorveglianza sono diventate del magistrato di sorveglianza e ci sono decisioni che, se favorevoli, può prendere il magistrato anche senza sentire la parte. Abbiamo cercato anche di dare una accelerata, per quello che si poteva fare, al procedimento davanti al magistrato di sorveglianza, semplificando le procedure”.
Tutte misure che non riguardano i reati di mafia e terrorismo, né vanno a intaccare il carcere duro regimentato dal 41bis…
“Certo, e su questo vorrei tranquillizzare l’opinione pubblica perché c’è una grandissima ignoranza in proposito e mi dispiace anche aver letto inesattezze da parte di persone autorevoli che dovrebbero sapere bene che il 41 bis era intoccabile: la prima cosa che dice la legge delega è ‘fermo restando quanto stabilito dall’articolo 41bis’, poi sostiene che nemmeno per i reati di mafia e terrorismo si può fare niente. Quindi è chiaro che noi non abbiamo assolutamente lavorato su questo terreno e, ovviamente, non è passato nulla al Consiglio dei ministri: era impossibile occuparsi di questi temi, sarebbe stato un fuori-delega”.
Che cosa manca affinché sia varata una piena riforma del sistema penitenziario?
“Credo che per avere una riforma piena bisognerebbe fare prima una corretta informazione: educare l’opinione pubblica prima di educare i detenuti. Il problema è che tutti pensano a buttare la chiave, ma non pensano al dopo. Queste persone prima o poi usciranno dal carcere e quando usciranno continueranno a delinquere. Invece con le misure alternative, è provato dai dati, si ha una bassissima percentuale di recidiva e, per questo, vanno incentivate. Le hanno chiamate ‘misure di comunità’ mentre, secondo me, sarebbe stato più efficace chiamarle ‘sanzioni di comunità’ perché sarebbe più facile, per l’opinione pubblica, capire che si tratta comunque di una pena da scontare. In un modo diverso dal carcere, ma resta sempre una pena da scontare”.
Un messaggio a chi sta lavorando alla riforma
“Difendiamo questo poco che siamo riusciti ad ottenere perché comunque è un passo importante. Un piccolo passo, ma molto importante”. (Teresa Valiani)