Giustizia, più luci che ombre nella messa alla prova per gli adulti
MILANO - Su 46.361 persone che stanno scontando una pena grazie a misure alternative al carcere, 10.111 sono sottoposte alla Messa alla prova. Si tratta di una misura introdotta nel mondo penitenziario degli adulti di recente, con la legge 67 del 2014: l'imputato per reati con pena inferiore a 4 anni può infatti chiedere la sospensione del processo e la messa alla prova, con la quale dovrà svolgere lavori di pubblica utilità. Se tutto fila liscio, il reato viene estinto. A Milano oggi è stata presentata una delle prime ricerche, sugli effetti della messa alla prova, realizzata dal Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale. Basata su 23 interviste realizzate a persone che hanno sperimentato la Messa alla prova, illustra i punti di forza e di debolezza di una misura alternativa che risulta essere comunque positiva.
Dalle interviste emerge così che è stata scelta perché ritenuta poco stigmatizzante. Di solito infatti le persone continuano a mantenere i propri impegni di lavoro e famigliari e svolgono lavori di pubblica utilità nei fine settimana. "In un caso specifico - scrivono i ricercatori - uno degli intervistati è riuscito a svolgere la prova senza comunicare niente alla propria famiglia né alla propria compagna, approfittando del fatto che i lavori di pubblica utilità potessero essere percepiti come una forma di volontariato". Inoltre, il lavoro di pubblica utilità permette di "riparare" il danno provocato, anche se in maniera indiretta. E dalle interviste è emerso che alcune delle persone sono poi rimaste in contatto con l'ente -spesso del terzo settore- nel quale hanno svolto la prova.
Ma a fianco degli aspetti positivi di applicazione della legge del 2014, ci sono ovviamente quelli negativi, legati alla carenza di personale negli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe), che dovrebbero seguire queste persone. "La normativa è stata introdotta senza includere alcun finanziamento dedicato - sottolineano i ricercatori -. ciò significa che l'Uepe è obbligato ad abbassare lo standard di intervento". Anche gli enti del terzo settore sono a volte in difficoltà, perché non sono previsti contributi per il lavoro degli operatori che garantiscono l'accoglienza delle persona sottoposta alla prova e che la seguono durante tutto il periodo in cui viene svolta. (dp)