Giustizia riparativa, "per tutti e in ogni grado del processo": la proposta
ROMA – Programmi di giustizia riparativa fruibili da tutti e in ogni grado e stato del processo penale. Gli esperti delle commissioni nominate dal ministro Andrea Orlando per formulare le proposte per la riforma dell’ordinamento penitenziario e del sistema delle misure di sicurezza, ripartono dal lavoro degli Stati generali sull’esecuzione penale. Adolfo Ceretti, ordinario di Criminologia all’Università di Milano-Bicocca, componente della Commissione Cascini e del Comitato scientifico degli Stati generali, spiega a Redattore Sociale i punti al centro della riforma in tema di giustizia riparativa.
“Affiancare la Giustizia riparativa al trattamento e alla rieducazione”: cosa deve cambiare nelle norme per renderlo possibile?
Il primo convegno sulla “mediazione penale” si è tenuto in Italia nel 1995, più di 20 anni fa. Da allora il dibattito intorno alla Giustizia riparativa e alla ‘mediazione reo-vittima’ è cresciuto in modo esponenziale, anche per accompagnare le esperienze operative che spontaneamente sono sorte a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale. Le sperimentazioni hanno riguardato e riguardano, in primo luogo, l’applicazione di questo istituto nell’ambito del processo penale minorile. In assenza di una norma di carattere generale che permetta l’accesso ai Centri di Giustizia riparativa su tutto il territorio nazionale in ogni stato e grado del giudizio e per qualunque tipologia di reato, con molta prudenza e non poche resistenze, negli ultimi anni sono stati avviati interventi anche nell’ambito dell’esecuzione penale interna ed esterna, seppure entro spazi normativi molto circoscritti. La legge 67/2014, che introduce l’istituto della messa alla prova nel procedimento penale a carico di soggetti adulti, costituisce un primo sguardo normativo per promuovere la mediazione reo-vittima all’interno di quei percorsi. Per ora, a dire il vero, con risultati molto modesti. Abbiamo dovuto così attendere il 2015 e gli Stati Generali sull’esecuzione penale per vedere, finalmente, riconosciuta alla Restorative Justice l’attenzione che merita.
Che cosa è emerso dal lavoro degli Stati generali?
Il Tavolo 13 ha potuto sancire l’autonomia di questo paradigma di giustizia e il suo carattere di complementarietà con il sistema penale tradizionale. Ma ciò che più conta, è che è stato avviato, per la prima volta, un ragionamento ampio e sistematico sulla possibile realizzazione pratica di programmi di mediazione reo-vittima nell’ambito dell’esecuzione della pena. Ragionamento che si è già tradotto in una fruttifera sensibilizzazione culturale di molti magistrati, operatori penitenziari e assistenti sociali.
In estrema sintesi, il Tavolo di lavoro e il Comitato scientifico degli Stati Generali hanno condiviso che affinché la Restorative Justice, che apre a ‘logiche’ differenti da quelle della rieducazione e del trattamento, possa ambire ad avere pari dignità e pari rango rispetto a queste ultime è necessario agire principalmente in due direzioni: prevedere una norma generale ad hoc per la Giustizia riparativa nella fase dell’esecuzione, con l’auspicio che il legislatore possa presto introdurre un’analoga norma nella fase di cognizione. E correggere il testo di norme che introducono forme di Giustizia riparativa senza il rispetto dei requisiti minimi che la caratterizzano, primo fra tutti la volontarietà, o determinando possibili rischi di vittimizzazione secondaria. La Commissione che tratterà la riforma potrà partire da questi snodi per lavorare in modo più ampio su aspetti che attendono, da anni, risposte strutturate.
“Accesso ai programmi di Giustizia riparativa per tutti e in qualsiasi momento dell’esecuzione”: quali sono i punti su cui siete intervenuti e quali resistenze potrebbero arrivare?
La professoressa Claudia Mazzucato ha recentemente coniato una felice formula che aiuta a rispondere a una parte della sua domanda: 'La Giustizia riparativa è per tutti ma non è da tutti”. Significa che questo paradigma di giustizia è potenzialmente rivolto a qualunque vittima e a qualunque autore di reato che desideri entrare nel suo logos. In realtà, sul piano della prassi non possiamo pensare che ogni soggetto sia necessariamente adatto a impegnarsi in un programma riparativo. Fatta salva la regola aurea della volontarietà ed esclusa l’ipotesi di individuare categorie di reati più adeguati di altri a essere mediati, per conseguire esiti positivi occorre ragionare sulle singole e concrete circostanze che hanno condotto alla consumazione di un fatto di reato e al contesto in cui si inscrivono determinate forme di criminalità. Questa operazione permette di far emergere in quali episodi criminosi un lavoro sulla verità e sulla memoria può essere indispensabile per ricostruire la fiducia interindividuale e ideali autenticamente democratici.
Per tutti, significa anche per i reati considerati “particolarmente odiosi”?
Sì. In un’epoca in cui la paura del diverso viene giocata da alcune forze politiche per alimentare forme estreme e perverse di giustizialismo e di dominio, l’opinione pubblica potrà rimanere fortemente perplessa quando a mediare saranno invitati i responsabili di reati particolarmente odiosi, quali per esempio gli autori di violenze sessuali. Su questo aspetto occorrerà lavorare con molta pazienza, informando correttamente su ciò che avviene in un iter di mediazione. Prendervi parte, infatti, non significa mai dribblare o sottrarsi alla pena concretamente inflitta, come generalmente si reputa. Al contrario, permette a chi ha commesso il fatto di iniziare ad auto-riflettere sulle conseguenze che il suo gesto deviante ha generato nell’esistenza di un’altra persona, promuovendo l’assunzione di una responsabilità non solo ‘per aver commesso’ un reato, ma ‘verso qualcuno’, cioè la propria vittima.
Quali risultati si aspetta dal lavoro delle commissioni?
Lapidariamente, e forse in modo un po’ ingenuo, l’attesa è che le principali linee di politica criminale tracciate dagli Stati Generali si traducano in un articolato normativo che la Politica possa, in tempi brevissimi, tradurre a sua volta in leggi. La mia aspettativa, innanzitutto, è volta all’introduzione di inedite misure di comunità che incoraggino un maggiore coinvolgimento della collettività e una responsabilizzazione del condannato verso il contesto sociale nel quale punta a reinserirsi. Questo aspetto è stato trattato con molta cura dal Tavolo 12. Parallelamente, si dovrebbe provvedere al contenimento di tutte quelle sanzioni e misure penali, pure alternative al carcere, ma che nei fatti rispondono a semplici istanze di neutralizzazione. (Teresa Valiani)